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La Nazione: Archistar ed intellettuali demodé. La guerra antistorica contro il nuovo Franchi

Stadio Artemio Franchi Firenze

La Nazione in edicola stamani dedica spazio allo stadio Artemio Franchi nelle sue pagine di cronaca cittadina. Ecco una parte dell’articolo di Stefano Cecchi

Adesso, che nelle truppe di complemento alla nuova guerra ai barbari si sono auto arruolate archistar del calibro di Santiago Calatrava e Norman Foster. Adesso, che anche il New York Times ne parla in un lungo articolo intitolato «una minaccia a uno stadio pietra miliare dell’architettura». Adesso, che perfino il braccio scientifico dell’Unesco, l’Icomos, si è travestito da prefica strepitando al mondo perché l’Artemio Franchi non venga toccato ma preservato «in modo olistico» (!), viene da chiedersi: ma dov’erano costoro fino ad adesso?

Sì, dov’erano le archistar quando nel 1990 il vecchio Comunale veniva scempiato con un restauro da comiche dell’architettura: le tettoie aggiuntive a oscurare il miracolo statico della pensilina sopra la tribuna, i tare la Ferrovia e poi quella cancellata verde mutuata dai condomini della fu Germania Est? Dov’era l’Unesco mentre il tempo e l’acqua piovana marcivano di ruggine il cemento armato dello stadio, rendendolo precario e bisognoso di aiuti come un ponte Morandi sportivo? C’è qualcosa di insopportabilmente snobistico e tafazzianamente dannoso nella campagna di pressione (petizioni, articoli di stampa, minacce di carte bollate) che una fetta del mondo culturale e non sta mettendo in piedi per far sì che lo stadio di questa città, tirato su nel 1932, non venga ristrutturato e tutto resti com’è. Una buffa pretesa.

Perché che il Franchi cada a pezzi, non lo dice questo giornale ma uno studio dell’Università di Firenze, che ha messo in guardia sulla staticità della struttura, invitando a intervenire subito: «Ci sono seri problemi di resistenza al carico degli spettatori», hanno scritto. La necessità di un intervento radicale, insomma. Fatto con i criteri e le esigenze del tempo. E dunque con tutti i posti al coperto e le curve vicine al campo per far vedere la partita agli spettatori. Non uno scempio «per creare un inutile business», come ha scritto Caterina Linares in calce a una petizione lanciata da un professore dell’Iowa, Thomas Leslie, perché tutto resti com’è (per ora ha raccolto 1992 firme). E nemmeno per un attentato «alla storia della nostra nazione», come ha vergato, bontà sua, Paolo Vecchio sulla stessa petizione. Piuttosto una necessità. Perché, è questa sembra una cosa incomprensibile ai missionari salva Franchi, gli stadi son nati per fare gli stadi. (…)

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