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La Fifa e la lotta ai super manager: Commisso in scia a Infantino per riformare il calcio

Infantino - FIFA

Non solo il presidente della Fiorentina. Infantino, numero uno della Fifa, punta alle riforme post Covid: chi cresce calciatori deve essere pagato

Le commissioni ai procuratori, un intrigo internazionale. Con un’unica certezza: le parole abbondano, i fatti un po’ meno. Le proposte del presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, si inseriscono nel domino innescato dal presidente della Fifa, la Federazione Mondiale, Gianni Infantino. Per arrivare a una riforma che regoli una volta per sempre le provvigioni degli intermediari del calcio. Scrive il Corriere Fiorentino.

Su questo sembrano esser tutti d’accordo. Pure gli stessi agenti. Visto che alcuni di loro limiterebbero ben volentieri lo strapotere di quei colleghi che, per dirla con il numero uno dell’Assoprocuratori Beppe Galli, «sembrano aziende» più che semplici professionisti.

Nel 2021 si parla di circa 500 milioni di euro per l’ammontare delle commissioni globali agli agenti. E il 95 per cento di questi soldi si è fermato in Europa. «Nel 2019 — affermava Infantino a novembre — sono stati spesi sette miliardi di euro per i trasferimenti di calciatori. 700 milioni sono andati in provvigioni ai procuratori e solo 70 milioni alla formazione e ai compensi di solidarietà».

Lontani, insomma, dalla soglia del 3 per cento per le commissioni raccomandata dalla stessa Fifa, che ha la questione sotto la propria giurisdizione.

Per Infantino servirebbero «regole più chiare e pagamenti trasparenti»

Mentre «le indennità di formazione faranno in modo che almeno il 5 per cento del totale delle trattative, che su 7 miliardi sono almeno 350 milioni, vada ai club che preparano i giocatori».

Una tutela per le società presente anche nel decalogo di una Fiorentina «scottata» dal rifiuto di Vlahovic. E costretta a concedere sconti agli acquirenti per non rischiare di perderlo a zero. «I calciatori che vanno in scadenza di contratto volontariamente o meno per dare vantaggi agli intermediari rappresentano un’area critica — ribadiva il presidente della Federcalcio Gravina a settembre — i dati Uefa e quelli italiani sono allarmanti. Serve una riflessione approfondita perché sono risorse che vanno fuori dal mondo del calcio. Scusate se è poco».

C’è fermento pure nelle leghe straniere

In Inghilterra, ad esempio, da anni si dà battaglia alla «doppia rappresentanza». Altro «pallino» di Commisso. Nel 2018, in più della metà dei trasferimenti della Premier League, il procuratore agiva sia per il club che per il giocatore. Una conseguenza di quella deregolamentazione che la Fifa ha apportato nel 2015 all’attività degli agenti. E che oggi sembra un paradosso.

Nel 2017, l’anno del passaggio di Neymar dal Barcellona al Paris Saint-Germain, uno dei più costosi della storia, il Real Madrid chiese a gran voce l’introduzione del salary cap. Ovvero il tetto al monte ingaggi. Un tema che torna sempre d’attualità quando si parla di sostenibilità del pallone. In questi mesi è legato soprattutto al «vizietto» di calciatori e procuratori di non rinnovare il contatto. In cerca di una nuova società che, risparmiando sul costo del cartellino, a quel punto possa accontentare la pretesa di stipendi ancora più alti.

Di recente lo ha invocato Oliver Kahn, ex portiere e amministratore delegato del Bayern Monaco (Germania): «Vogliamo una somma X che un club possa spendere per gli ingaggi che sia tra il 60 e il 70 per cento dei ricavi e delle sanzioni reali che facciano male a chi non rispetta le regole».

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