L’intervista al nuovo attaccante della Fiorentina Moise Kean, che parla della sua infanzia e della lotta al razzismo
Parla così a Repubblica il neo attaccante della Fiorentina Moise Kean: “Fare musica mi rilassa tantissimo. Finiti gli allenamenti, mi ritrovo a scrivere nel mio studio. Tanti non riescono ancora a capire quel che trasmette la musica”. Rap? “Avevo tredici anni. Tornavo a casa dopo aver giocato per strada: tra una partitella e l’altra vedevo dei ragazzini che facevano freestlye e battle rap. Improvvisando. Io giocavo e poi mi fermavo con loro. La musica mi ha sempre seguito nel mio percorso da calciatore. Ho scritto“Outfit” e adesso potrebbe uscire un altro singolo scritto con Leao”.
BOB MARLEY. “Quando ero piccolo mio padre portava a casa nostra le cassette di Bob Marley. Anzi, c’era un’unica cassetta che potevo ascoltare ed era di Bob. Mi è sempre piaciuta la sua storia: un uomo che ha preso la vita in un altro modo. Le sue frasi sono intense, il suo modo di vivere mi ha ispirato. Lo ammiro così tanto che ho chiamato mio figlio Marley”.
INFANZIA. “Ho iniziato a giocare a calcio nei giardinetti di Vercelli, da bambino. Accompagnavo mio fratello Giovanni allo stadio per gli allenamenti. Poi mi sono trasferito ad Asti e mi sono iscritto a una scuola calcio. Ho sempre giocato attaccante e fatto tanti gol. Senza il calcio a quest’ora sarei nei guai. Quando sei piccolo hai delle scelte davanti e bisogna fare quella giusta. Io non avevo esempi attorno a me da seguire. Avevo una persona però, un mio caro amico, che mi ha sempre detto di prendere la strada giusta: quella di fare calcio. Avevo dodici anni, nessuno poteva portarmi al campo nei tragitti da Asti a Torino. Quindi rimasi al convitto, vivevo lì tutti i giorni. Tornavo a casa soltanto il weekend dopo le partite. Sono sacrifici ai quali da piccolo non pensi troppo: sei lontano da genitori e amici, dai tuoi affetti più cari. Dura da capire ma te ne accorgi quando cresci”. Bravate? “Ricordo il prete all’oratorio. Lo facevo arrabbiare quasi sempre, è la persona che mi ha sopportato di più. Andava a dormire alle nove e chiudeva tutto. Sbarrava anche il campo nel piazzale. Allora ci organizzavamo, aspettavamo che lui dormisse e poi scavalcavamo per andare a giocarci tutta la notte”.
RAZZISMO. “È una delle mie battaglie più grandi”. Problemi di discriminazione? “Sì, ma in quei casi sono stati gli altri ad avere problemi con me. Quando ero piccolo ci rimanevo male, mi dicevo: io respiro, tu respiri, siamo uguali. Siamo umani. Cosa c’è di strano? Poi ho capito che dobbiamo combattere. Quando vai fuori dall’Italia trovi mentalità che non arrivano a questi pensieri. Piano piano ce la faremo, spero il prima possibile”.

Di
Gianluca Bigiotti