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Italiano: “I tre anni di Firenze macchiati dalle finali. Ma ho dato quel che mi hanno chiesto, anzi di più”

Le parole dell’ex tecnico della Fiorentina: “Conta il percorso. Sembra che sia più bravo chi esce agli ottavi e chi invece perde le finali è una capra…”

Su La Gazzetta dello Sport lunga intervista a Vincenzo Italiano, allenatore del Bologna ed ex Fiorentina, che è tornato anche sul triennio di Firenze: «Il 5-0 alla Lazio? È stata la sintesi di un gruppo che rema tutto dalla stessa parte. Che è tutto coinvolto, in un’azione portata avanti da tre giocatori nuovi su quattro. Di un gruppo che, chi gioca e chi no, è unito, ed è un segnale molto, molto bello per cercare in questo finale di stagione perché abbiamo una serie di partite una più tosta dell’altra, dal campionato alla semifinale di Coppa Italia».

A giugno quanti le davano del “matto” davanti all’idea-Bologna? «Tanti, perché negli anni in situazioni come questa a Bologna spesso si sono verificate annate… insoddisfacenti. Tutti pensavano che sarebbe stata una “Missione Impossibile”: ecco, proprio questo c’era scritto sui messaggi che ricevevo. Questa era la panca più bollente dell’universo. Cosa rispondevo? Io dopo aver parlato con tutti i componenti della società mi sono tranquillizzato. Sapevo delle eventuali difficoltà come è realmente successo, ma scortato da compagni di viaggio che potevano darmi una grossa mano per non fare troppi… danni».

Quanto ha influito la Champions da giocare? «Cinquanta-sessanta per cento. Cercare di mettermi alla prova, sfidare questa competizione dei dettagli, la più difficile».

Italiano è riuscito a farsi amare più in sei mesi di Bologna che in 3 anni a Firenze. O no? «Non lo so: i tre anni di Firenze sono un po’ macchiati da quelle finali, ma tanti sanno quali e quante cose sono passate in quel tragitto. Chiaro che perdendole qualcosa viene offuscato, ma sono stati tre anni fantastici. Chiaro che l’allenatore è giudicato dai risultati, ma quel che mi hanno chiesto ho dato, anzi forse di più. Per me il percorso conta tanto: qua sembra che sia più bravo chi esce agli ottavi e chi invece perde le finali è una capra. No no…».

Tre finali perse (ma ci arrivano quelli bravi): il calcio le deve qualcosa? «Penso di sì. Certamente meritavamo di alzarne anche solo una. Quanto penso a una finale in Coppa Italia? Ci penso. Intanto bisogna vincere la semifinale e non sarà semplice: l’Empoli ha battuto tutte squadre fuori casa; io non ho mai vinto là, nè in A nè in B. Sono 180’ e vanno giocati. Detto ciò, pensare di poter portare 30-35 mila bolognesi a Roma e al primo anno qui per me sarebbe un sogno che tutti abbiamo, un qualcosa di impagabile».

Il Mitico Villa ha detto: Italiano piace perché è uno della gente e non è un fighetto. «Io sono questo, me stesso. Ci sono momenti in cui sento di comportarmi come faccio in alcune vittorie, dipende dal mio stato d’animo».

Da uno a dieci, quanto si aspettava di essere 4°? «Ero convinto di continuare a lottare per qualcosa di importante, ma lì a 9 gare dalla fine, beh, a chiunque avrei dato io del matto».

Adesso viene il difficile. «Perché il calcio è come un albero di arance. Seminare è più semplice che raccogliere e la raccolta si traduce in obiettivi: Coppa Italia, semifinale e magari finale; e in campionato cercando di puntare al massimo. A seminare ci abbiamo messo un secondo, ma per vedere i frutti dipende dal clima, dall’acqua, dagli insetti, dal sole, dalle piogge. Ora la parola chiave sarà umiltà».

Il suo contratto scade nel 2026: rinnova? «Con onestà devo dire che non si è ancora discusso di niente. Ma… c’è tutta la mia disponibilità».

I suoi maestri? «Prandelli, il primo a fare il 4-2-3-1, e Malesani: visionari. Ma ci metto anche Cagni, che mi fece esordire in A: nella tattica individuale e nella crescita mi ha dato tanto».

Il suo è calcio-rock: ci si ritrova? «Calcio attivo, dinamico, andiamocela a prendere la palla: quando ce l’hai devi produrre e quando non la hai, beh, te la devi andare a conquistare, quindi sei sempre attivo. Lo zio Pietro mi ha chiamato da Ribera, casa mia nella quale ogni anno torno, da sempre: “Non ho mai visto le tue squadre giocare così”. Io gli rispondo che il Trapani andava fortissimo, ma dico che si può sempre migliorare».

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