Rassegna Stampa

Il ritorno di Antognoni, l’ultima bandiera ora sventola a Moena

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A pensarci bene sarebbe suonato strano se i Della Valle avessero chiamato finalmente Giancarlo Antognoni in un momento felice della sua squadra del cuore. Magari non per calcolo, ma di sicuro quando Gino Salica ha composto il numero dell’ultima bandiera di Firenze aveva ben chiaro in testa che quella chiamata avrebbe risolto un bel po’ di problemi, perché quando finisce un ciclo il viaggio diventa più faticoso, i rischi sono dietro l’angolo e resta solo l’attesa per quello che sarà. E l’attesa ha le sue controindicazioni, come quella di un ritiro surreale, con un allenatore nuovo che allena una squadra che non si sa ancora bene cos’è.

Antognoni è l’unico dirigente qui a Moena, ha la qualifica aziendale di club manager, gliel’hanno data dopo un bel po’, perché alla Fiorentina evidentemente amano farlo aspettare. Ma lui ha imparato a godere di ciò che ha, e quando lo incontri nella sera di Moena che passeggia ci sono sfumature che ti restano impresse. Lui è quello che veste la divisa sociale con orgoglio sincero. Lui è quello fermato per selfie e autografi, lui è quello che sa essere gentile con tutti. Questo perché ha sognato questo momento troppo a lungo, anche se adesso sa di essere una specie di osservato speciale. Non è una qualifica aziendale, ma essere una garanzia per i tifosi è una bella responsabilità. Antognoni è ciò che resta di un’idea di calcio che non c’è più, ma è anche un eterno ragazzo che il pallone lo conosce perché quello è la sua vita.

Lo era da calciatore, lo è stato quando lavorava per Cecchi Gori, lo è stato anche in Federazione, dove seguiva i giovani, cosa che continua a fare in automatico quando guarda il campo. Antognoni capisce come si muove un ragazzo, come si sta allenando. Lui conosce anche i suoi limiti, e sa che l’eloquio non è mai stato il suo punto di forza. Però ci sta lavorando, perché vuole crescere ancora. Elena Turra lo segue ovunque, i due simulano interviste, discutono sui modi e suoi toni. Questi sono giorni delicati, nessuno osa mettersi contro di lui ma le gelosie sono sempre in agguato. E lui cerca di vivere sereno facendo quello che sa fare, occuparsi di calcio. Per questo ama discutere con Pioli. Ed è l’unico in contatto con Andrea Della Valle, quello che ha fatto un passo indietro, ma che chiama lui perché di lui si fida ciecamente.

In mezzo a tante bugie messe in circolo, Antognoni cerca la strada per lanciare messaggi alla sua gente. Se gli chiedi perché la Fiorentina non riesce mai a lasciarsi bene con i giocatori che hanno dato il cuore lui riesce a prendere le distanze dalle veline aziendali. «Credo che le responsabilità in certi casi vadano divise a metà tra la società e il giocatore». Beh, già un passo avanti. Ma la triste verità è il vecchio luogo comune che dice che le bandiere non esistono più. E poi, se per caso ne esiste qualcuna, meglio di no, perché sono scomode. Prendete l’unico dieci, tenuto fuori dalla porta per tredici anni e poi chiamato dentro nel momento più difficile. Una bella missione, la sua. Niente di facile, ma chissà, magari potrebbe uscirne fuori più forte e con più potere. Lui la parola empatia la conosce. E il calcio pure. Per questo la sincerità resta la sua arma migliore. Oltre la conoscenza del pallone, quella oltre le plusvalenze. Quella vera, non quella da ragionieri, o da bar.

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