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C’è qualcosa di Teseo in Federico Chiesa. Anche lui infatti proviene da una casata aristocratica, sia pure in senso pedatorio. Non è figlio del re dei mari Poseidone, ma di un calciatore molto amato dai fiorentini; a Firenze arriva a due anni, e a Firenze cresce da giovane lord. Viene iscritto ad una scuola privata internazionale, dove la lingua è l’inglese, e gioca a calcio, con lo spirito antico di un dilettante anglosassone, nella Settignanese, a due passi da Coverciano e dalla villa di Berenson. Abdou Lahat Diakhate è il Romolo della situazione: non può vantare illustri lignaggi e giunge a Firenze dal Senegal con vaghe aspettative calcistiche. Tira calci al pallone, da solo, d’estate, in un oratorio, come un personaggio di Paolo Conte, quando un osservatore lo vede e lo porta alla Fiorentina.
Nel 2014-15, giocano tutti e due nella Primavera di Guidi. Chiesa ha diciasette anni, Diakhate sedici. Nel 4-3-3 sembrano aver trovato una collocazione ed una identità tattica, Chiesa da esterno, Diakhate da regista. È allora che entra nella loro vita Paulo Sousa con le sue ambizioni maieutiche. Il primo ad essere promosso è Diakhate, si fa notare in ritiro nell’estate 2015 e Sousa lo inserisce in prima squadra. Un anno dopo tocca a Chiesa la stessa sorte. Ma a questo punto i loro destini si sono già divisi. Perché quando Chiesa esordisce a sorpresa alla prima del 2016 contro la Juve, Diakhate, pare per certi atteggiamenti capricciosi, è già stato rispedito in Primavera, dove ancora adesso continua tristemente a giocare.
Il privilegiato, ma non snob, Federico percorre strade lastricate d’oro con il suo carro trionfale, ed è chiamato in nazionale, mentre i suoi procuratori discutono un rinnovo milionario ed il padre lo veglia amorevolmente dall’alto. Abdou, dopo aver conosciuto una effimera fortuna, rischia seriamente di essere respinto indietro e di mancare quella che a tutti gli effetti è la più importante occasione della sua vita. Certo non si può escludere che mediti di proseguire la sua carriera altrove, non a caso ad assisterlo è un procuratore più astuto ed imbroglione di Mercurio.
Dopo averlo visto episodicamente giocare, io non posso che pensarla come Paulo Sousa, Diakhate è fortissimo, un crac: si tratta di uno di quei rari giocatori che uniscono alla stazza fisica (è alto1,93) qualità tecniche e visione di gioco. Centrocampista basso alla Pirlo o alla Pizarro, sa anche decentrarsi all’ala, ed in area è temibile come Balotelli. Il suo incedere ed il suo tocco di palla sono sommamente eleganti.
Tutti avrebbero scommesso su di te, dice a Noodles l’amico Fat moe in C’era una volta in America. L’ottimismo della volontà, se non la ragione, mi spinge ad immaginare una conclusione felice di questa storia: Diakhate un certo punto viene promosso da Pioli, e, assieme a Badelj e Veretout, diventa il Pizarro di un centrocampo a tre che toglie definitivamente la Fiorentina dai guai e la fa arrivare in Europa. Assieme a lui sono promossi altri giovani per il momento reietti: il difensore Milenkovic e il baggiesco Hagi.
 
												
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																							 
																							 
																							 
																							 
									 
									 
																	 
									 
																	 
									 
														 
														 
														
Di
Redazione LaViola.it