Il blog di Ludwigzaller
Il blog di Ludwigzaller: Piedi
Nel migliore dei mondi possibili si leggevano solo Calvino e Fenoglio, al cinema si andava per vedere Maselli e Visconti. La musica giusta da ascoltare era quella dei cantautori come Guccini e De Gregori. La musica popolare, i film di Hollywood e i B movies, i romanzi gialli ed horror erano socialmente condannati e compresi sotto un’unica etichetta, quella dei prodotti commerciali, il cui scopo era garantire il profitto ai produttori e ottundere la capacità di ragionamento del popolo. Anche il gioco del calcio era considerato una minaccia. Chi comprava la “Gazzetta dello sport” era un cretino.
Il ribollente magma della cultura popolare di massa assediava questa cittadella platonica come l’oceano del pianeta Solaris nel film di Tarkovski. E ad un certo momento la travolse. Ad aprire le prime falle furono i film di Stallone e di John Travolta, i romanzi di Stephen King, la musica di Battiato, insieme colta e popolare, quasi mai seria, e la disco-music. La critica seriosa fu costretta a battere in ritirata. Poi apparve sulla scena il vate della nuova era, il regista americano Quentin Tarantino. Uno che asseriva di aver trascorso la sua infanzia sul divano di casa, mangiando patatine ed altre schifezze e guardando i B movies. Gli piaceva tutto quello che alla cultura seria faceva orrore: i western con Bud Spencer, Quel gran pezzo dell’Ubalda, Morricone e Dario Argento, Mario Bava, Tessari e Corbucci. Nei suoi film si vedevano un sacco di piedi femminili, possibilmente messi in evidenza perché appoggiati sul cruscotto di una macchina decapotabile.
Quello che accadde fu incredibilmente liberatorio, cadevano una censura ed un forma di controllo sociale non meno forti perché implicite e non codificate per legge. Era come essere stati a dieta ed improvvisamente ricevere dal dietologo il permesso di mangiare di tutto, e possibilmente schifezze. Come stare con Marylin dopo una lunga relazione con le minuscole tette di Veruska. Il trionfo di Bachtin e della sua “cultura popolare comica”. Non a caso si parlava di trash food per i panini di macdonald e per i film amati da Tarantino. Esultavano gli incolti, che finalmente avevano ottenuto ragione, i fanatici di Romina Power e di Franco & Ciccio.
Ma si trattò anche di un momento di gloria per gli onnivori come me. Nei lunghi pomeriggi invernali, quando facevo l’università senza fretta, avevo spesso gettato lo sguardo sui film di genere che venivano trasmessi dalle tv private. Mi piacevano Fred Astaire, le commedie degli anni sessanta, la fantascienza e i peplum di Pietro Francisci prodotti a Cinecittà. Mi aggregavo ai bambini di casa per vedere Jeeg robot e Candy Candy e alle nonne per seguire interminabili telenovelas. Il motore era la curiosità, una curiosità onnivora che mi spinge ancora ora, quando sono dal barbiere, a divorare la Recherche di Proust ma anche i giornali di gossip e i fumetti erotici che sono messi a disposizione dei clienti che aspettano di farsi la barba.
Al culmine di questa sorta di albero della cuccagna c’erano i grandi maestri televisivi del trash, e naturalmente lui, Aldo Biscardi, con i suoi capelli untuosi e tinti, le inflessioni dialettali, le vallette costantemente mute e probabilmente analfabete. Seguirlo per due ore era come mangiare porcherie. Alla fine eravamo esausti, disfatti, sazi come al termine di un pranzo in una trattoria dei castelli romani. Soddisfatti ed in colpa per quel modo un po’ idiota di trascorrere una serata che avremmo potuto invece impiegare in attività più utili e intellettualmente gratificanti.
Poi ritornarono sulla scena i semiologi, ma anziché studiare Joyce o Beckett dedicavano studi di centinaia di pagine a Lino Banfi. Il mondo era proprio cambiato, si.