«Guerriero mai domo, duro nella lotta, leale nell’ animo». Così recitava la scritta apposta su di una statua raffigurante Gabriel Omar Batistuta che venne inaugurata il 5 novembre del 1995, in occasione della centesima presenza dell’argentino nella Fiorentina. I giornali riferiscono che era alta quattro metri. Di cartapesta dorata, era stata commissionata a due noti carristi viareggini, i fratelli Cinquini, e raffigurava il campione proprio come un soldato, in atteggiamento guerresco. La divisa da calciatore richiamava infatti una antica divisa militare. La maglietta sembrava una corazza, i calzettoni dei coturni, le calzature tipiche dei soldati romani, il gagliardetto viola una lancia. Batistuta gradì immensamente l’omaggio dei suoi tifosi. Quel giorno con la Lazio segnò due reti.
La statua fu collocata ai piedi della Fiesole e lì rimase per cinque anni, fino al trasferimento di Batistuta alla Roma. Un articolo del Tirreno, dell’11 novembre del 2000, segnalava infatti che era sparita, molto probabilmente fatta a pezzi in una sorta di damnatio memoriae. La damnatio memoriae è quell’insieme di gesti e comportamenti attraverso i quali si intende cancellare il ricordo di un certo personaggio distruggendo immagini e documenti che ne tramandano il ricordo e la gloria. Ed è un tipico comportamento messo in atto quando cadono le dittature. Molti ricordano credo il destino delle statue di Lenin in Russia o di quelle di Saddam in Irak. I tifosi viola avevano vissuto il passaggio di Batistuta alla Roma come un tradimento insanabile ed erano passati dall’amore al disamore e all’odio.
Firenze ha una enorme difficoltà a fare i conti con la propria memoria storica. Fenomeno per me difficilissimo da capire ed interpretare. Così i quattro anni straordinari vissuti con Prandelli, i piazzamenti eccellenti in campionato, la Champions League persa per una truffa arbitrale avallata dal presidente della Uefa in tribuna, sembrano inghiottiti nel cono d’ombra di un persistente oblio. Ed ora c’è chi considera Prandelli un allenatore finito e prova gioia nel constatare che la sua carriera ha avuto delle battute di arresto. Francamente con poca gratitudine benché l’addio alla Fiorentina sia stato burrascoso.
La stessa tentazione riguarda anche Montella. I successi ed il godimento sportivo che la sua Fiorentina regalava sono passati in secondo piano. Anche qui affiora la tentazione di vivere male o sminuire le vittorie fuori di Firenze e di attendere speranzosi gli insuccessi. Quella che definirei una vera e propria patologia si estende anche ai giocatori. Montolivo riuscì a negoziare il suo trasferimento al Milan a zero ed è diventato sommamente impopolare, come Salah. Ma perché prendersela con Cuadrado, eccellente giocatore, ragazzo onesto e di animo ingenuo, che se ne è andato dopo aver fatto guadagnare alla Fiorentina 30 milioni di euro? E come mai non si riesce a conservare un ricordo decente di un altro campione come Steven Jovetic? È come se il filo della memoria dovesse essere incessantemente spezzato. La continuità è sostituita da una serie di rotture traumatiche simili alle catastrofi che caratterizzano i passaggi da un’era geologica all’altra. Paradossalmente sopravvive in taluni invece un ricordo positivo di annate sfortunatissime e di giocatori ed allenatori che a Firenze non hanno combinato niente, da Mihajlovic a Gomez.
E tuttavia quando LaViola.it indisse un referendum per stabilire chi fosse stato il miglior allenatore della storia viola, con mia grande soddisfazione e sorpresa, fu proprio Cesare Prandelli a vincere. Il che lascia sospettare che a non saper coltivare la memoria sia una minoranza rumorosa, e che il sistema di valori della maggioranza silenziosa sia più saldo.
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Redazione LaViola.it