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Il blog di Ludwigzaller

Il blog di Ludwigzaller: Marino

Stefano Pioli e quella sua filosofia di calcio che sembra ‘scontrarsi’ con l’idea di calcio di Corvino, nel blog di questa settimana Ludwigzaller analizza presente e futuro dei viola e dello stesso tecnico

L’arte deve meravigliare. Ne erano convinti Kubrick e Cocteau, ma l’idea dell’arte come meraviglia era già stata espressa da un poeta italiano dell’età barocca, Giovan Battista Marino, in quello che è forse il più noto e riuscito dei suoi versi: è del poeta il fin la meraviglia/chi non sa far stupir vada alla striglia. E non c’è dubbio alcuno che il Marino sia stato capace di suscitare meraviglia: per il suo stile poetico, il suo linguaggio, e per una vita che è stata una vera e propria opera d’arte.

Nel lento evolversi della sua figura, l’allenatore sembra essere stato investito di compiti che un tempo erano prerogativa degli artisti o dei filosofi. Non deve soltanto assicurarsi che i giocatori stiano bene, e che la disposizione della squadra ragionevole: deve stupire, esattamente nel senso in cui intendevano il verbo gli artisti del Barocco, i Bernini e i Marino. Ho fatto del calcio un’arte, disse Paulo Sousa congedandosi da Firenze, e quel tanto di megalomania che contraddistingue il qui presente lo induce a credere che quel pensiero gli fosse passato per la testa leggendo qualche post in cui il confronto tra Sousa e il Barocco era esplicito.

Ora mettiamoci nei panni di Pioli: uomo modesto, semplice, timorato di Dio, senza grilli per il capo, che si presenta a Firenze con poche ambizioni. Gli hanno detto che deve assicurare alla squadra la salvezza e far crescere alcuni giovani. Soprattutto si deve risparmiare, quindi si tolga dalla testa la possibilità di avere tanti campioni; onde evitare equivoci, glieli vendono praticamente tutti. In un primo tempo lui accetta il compito con serenità. Ma presto il confronto con i maestri del bel gioco, con gli artisti e con i filosofi, incomincia a roderlo. La piazza è particolare e Pioli se ne rende conto: abituata a un calcio di altissimo livello, vive male la corviniana decadenza.

Alla fine della prima stagione Pioli dichiara orgogliosamente: vi divertirò, darò spettacolo anch’io. E ci prova seriamente. Il Barocco non è per lui e lo sa, ma un suo gioco lo ha in mente. Il gioco è quello tante volte descritto, degli attacchi a folate, la difesa come un bunker, il centrocampo come zona vuota di transizione. Quando gli attaccanti di grande classe che ha in rosa sono in vena, questo gioco appare bello e produttivo, in grado di meravigliare. Altre volte al contrario è statico, soporifero, grigio. La squadra sembra vagare per il campo senza uno scopo, quando non è costretta a chiudersi in difesa e ad affidarsi alle parate di Lafont. Ai 7-1 si alternano stentati pareggi. Il dio del calcio di breriana memoria appare ancora a Firenze, ma si mostra a tratti.

Quest’andamento schizofrenico ci condanna a un finale di stagione complicato. In campionato la Fiorentina stenta e forse non potrà colmare lo svantaggio, in Coppa Italia due vittorie entrambe intriganti, anche se in modo diverso, ci lasciano sperare, dopo tanti anni, di poter riassaporare l’irripetibile atmosfera di una finale all’Olimpico. Io quella partita me la immagino contro la Lazio, con lo stadio pieno di romanisti che tengono per la Fiorentina; con le serpentine di Chiesa, la freddezza in zona goal di Veretout e Benassi, la classe e la maturità raggiunte da Muriel. A quel punto si capirà finalmente se l’utopia fiorentina di Pioli ha avuto un senso, e se si possa dare un seguito al suo ciclo.

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