Gusto e snobismo calcistico secondo Ludwigzaller
La parola gusto è più difficile da capire di quanto sembri. Si dice “buon gusto” o anche “amore per il bello”, ma il gusto non è innato, spesso è il frutto di una lunga educazione, che dura tutta la vita. S’impara a capire col tempo come mai un quadro sia più bello di un altro o un cibo meglio cucinato. Fondamentali sono le esperienze, e decisivo il ruolo dei maestri e delle maestre. È infatti attraverso lo sguardo delle persone amate che si rivela il bello. E naturalmente un ruolo fondamentale lo giocano gli amici, gli insegnanti, i genitori, le scuole. Il mio gusto per l’arte è maturato quando passavo molte ore a stretto contatto con un amico che faceva il pittore. E più tardi frequentando i luoghi dove si studia il Rinascimento e se ne respira la bellezza. Rivendico dunque il mio diritto a esercitare il mio gusto.
Non voglio parlare però di opere d’arte, non è questa la sede. Parlando invece di calcio io credo che una discesa di Cuadrado palla al piede o un dribbling di Baggio siano preferibili alle spallate e ai tackle di certi mediani. E che il lampo di genio rivelato da un lancio perfetto sia più affascinante del gioco muscolare di chi esce dal campo con la maglia intrisa di sudore, ma senza che nel suo affannarsi affiori la pagliuzza dorata del genio. Quando vedo giocare la mia squadra voglio ammirare quelle geometrie e quei movimenti coordinati che fanno del gioco del pallone “un balletto”, come ebbe a dire di una vecchia Fiorentina Franco Zeffirelli. Non mi scandalizza che ci si alleni a giocare la palla anziché sbuffare inanellando giri di campo se questo serve a migliorare il gioco.
Il termine connoisseur che si usa per definire gli appassionati di arte ha equivalenti sportivi. C’erano, e ancora ci sono, raffinati appassionati del tennis come Gianni Clerici, che si esaltavano ai colpi di Sampras e si annoiavano a morte a veder giocare quei tennisti che scagliavano implacabilmente, con tutta la loro forza, diritti dal fondo del campo. E c’erano, nel ciclismo, i suiveur che scrivevano le loro cronache del tour in piccoli ristoranti davanti a un piatto di escargot alla Borgognona.
Infine preferisco che lo spettacolo di cui ho parlato si possa ammirare in uno stadio che sia a sua volta un’opera d’arte, un capolavoro del modernismo come l’Artemio Franchi. Mi va bene, intendiamoci, che gli stadi siano moderni e funzionali, capisco il senso dei falli tattici, e so che anche il centravanti più elegante deve segnare i goal sporchi. Non mi convince però l’idea che la pura forza fisica e la sospensione per novanta minuti dell’intelligenza siano l’unico modo per arrivare alla vittoria.
di Ludwigzaller
Di
Ludwig