Alle elezioni nazionali italiane del 1861 votarono circa 400 mila elettori, il 2% della popolazione. Censo ed istruzione erano decisivi nello stabilire chi aveva diritto al voto. A Firenze nel 1494 al Consiglio Grande erano ammesse dalle 3 alle 4 mila persone e la popolazione era di circa 90 mila abitanti. Votava dunque circa il 4%, il doppio di quanti furono chiamati ad eleggere il primo parlamento del Regno. Per un’epoca come il Cinquecento quel numero era spropositato. Per vedere qualcosa del genere bisognerà aspettare la rivoluzione inglese del Seicento e poi quelle americana e francese del tardo Settecento. L’idea di creare questo consiglio allargato era stata di Savonarola, allorché, dopo la discesa del re di Francia Carlo VIII e la cacciata da Firenze del figlio di Lorenzo de’ Medici Piero, era stata restaurata la repubblica.
Il modello a cui i fiorentini si erano ispirati era la costituzione veneziana. Al vertice c’era un gonfaloniere eletto a vita, in sostanza un gemello del doge. Il suo potere era nettamente distinto da quello di un re: il gonfaloniere come il doge non poteva lasciare in eredità la propria carica ai figli. A loro modo i fiorentini avevano inventato una democrazia ed intrapreso una riforma religiosa per tanti aspetti simile a quella luterana, contestando il papa per il tipo di vita che conduceva ed i preti per la loro ricchezza ed il distacco dalla fede. I fiorentini del Cinquecento come quelli di oggi era anticlericali (il che non significa che non avessero fede). Per le riunioni del Consiglio Grande era stata allestita la sala che ancora oggi esiste ed è nota come Salone dei Cinquecento. I banchi erano un lavoro di finissima ebanisteria, alle pareti avrebbero dovuto esserci gli affreschi di Leonardo e Michelangelo. Il rogo di Savonarola non segnò la fine della repubblica, ma i Medici tornarono al potere nel 1512. Ci fu un secondo tentativo repubblicano nel 1527, ma nel 1530 le truppe di Carlo V marciarono alla volta della città con l’intento di saccheggiarla e i fiorentini, memori del sacco di Roma, si arresero. I Medici avevano vinto.
La libertà era stata sconfitta. I banchi in legno furono bruciati, l’affresco di Leonardo coperto o cancellato. Il duca Cosimo andò a vivere al secondo piano del Palazzo Vecchio e lo trasformò nel proprio appartamento privato: uno sfregio indicibile. Lo stemma con le palle, un geniale logo pubblicitario, cominciò a comparire ovunque, a Firenze e nel resto della Toscana: nei quadri, negli architravi dei palazzi, sulle colonne, le tombe, le acquasantiere. E la nostra storia cambiò di direzione. Ho provato spesso ad immaginare cosa sarebbe stata la Toscana senza i Medici. Quando mi lancio in questo tipo di fantasia mi viene sempre in mente l’Olanda. Gli olandesi si ribellarono alla Spagna nella seconda metà del Cinquecento, difesero le loro istituzioni repubblicane e la religione calvinista. E sorprendentemente l’ebbero vinta. A quest’ora chissà, con buona pace di Cosimo, gireremmo tutti in bicicletta, il nostro Pil sarebbe altissimo, avremmo numerosi primati tecnologici, istituzioni civili ed università ben più progredite delle attuali.
I nostri avi sarebbero stati protestanti o savonaroliani. E si sarebbero opposti fieramente all’Inquisizione, al papa e alla censura dei libri. Dimenticavo: saremmo stati noi ad inventare il calcio all’olandese che si chiamerebbe “calcio alla Fiorentina”. Insomma io i Medici li odio, non li sopporto proprio. Ci hanno rovinato. Ecco perché quando vedo lo sceneggiato sui Medici in tv non posso fare a meno di esclamare: che palle! Esclamazione che sintetizza peraltro anche il mio giudizio sulla partita di mercoledì sera con il Crotone.
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Redazione LaViola.it