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Il blog di Ludwigzaller: Alluvione

Interrompo per un momento il discorso calcistico per parlare dell’alluvione. L’anniversario di questi giorni mi pare troppo importante. E d’altronde l’amore per la Fiorentina fa tutt’uno, in me, con l’amore per Firenze e la sua storia.

Ho incominciato a fare ricerca quando dall’alluvione erano passati tanti anni, ma i segni si intuivano ancora. L’archivio di stato si trovava al pian terreno degli Uffizi, a due passi dal fiume. Una collocazione davvero improvvida. Capitava, e capita ancora, di sentirsi dire che un fondo è alluvionato e che quindi non si può più consultare, o si può consultare solo in parte. I segni dell’azione delle acque sono ancora visibili  sui fogli. In compenso per arrivare alla sala manoscritti della Nazionale si sale adesso una scala, mentre la sede dell’archivio di stato è addirittura al terzo piano di un edificio moderno, dove le fonti di illuminazione naturale sono ridotte al minimo e la temperatura è mantenuta stabile, una sede modernissima per dei reperti tanto antichi.

Questa scarsa capacità di previsione appare tanto più strana in quanto Firenze aveva conosciuto nel passato parecchi disastri analoghi. L’alluvione che si verificò nell’agosto del 1557 fu, secondo lo storico Bernardo Segni,  la più disastrosa dal Trecento. Nella piazza del grano, racconta Segni, l’acqua raggiunse l’altezza di otto braccia “e tutto il Quartiere di Santa Croce andò sotto, e molte case di poi vi rovinarono, indebolite per quella inondazione ne’ loro fondamenti”.

La diagnosi che Segni fa delle cause dell’alluvione è lucida. C’erano stati in precedenza temporali più intensi del solito, che avevano allargato e alterato il letto del fiume e dei suoi affluenti, inondando e rovinando le terre fertili circostanti. Il duca non era riuscito a rimediare nonostante avesse “capriccio in sull’acque” e “tenesse molti ingegneri pagati che con grosse spese lavorando in’ sul fiume, sempre venivano piuttosto a peggiorarlo, che a dargli miglior condizione”. Sotto accusa, secondo Segni, erano anche i lavori idraulici fatti effettuare da Antonio Ricasoli in Val di Chiana, con lo scopo di liberare terreni coltivabili: si diceva che  “quell’acqua paludosa e ripiena di terra, riempisse assai i letti del fiume per la sua corpulenza”. Altri, e aggiunge il Segni “forse con miglior cagione”, sostenevano che l’errore era consistito nel disboscare il Falterona ed altri boschi “per far ferriere e legnami”, sicché “veniva il terreno più agevolmente a essere smosso dalla furia dell’acque, e per tal via scendendo al piano, a riempire i letti de’ fiumi, ed innalzargli”. Solo a quel punto Segni menzionava la provvidenza divina, e la volontà di punire gli uomini dei loro peccati, come causa del disastro, ma aggiungeva che si augurava che la catastrofe potesse “aprire l’intelletto alla Provincia Toscana, rimasta vota di cervello nei governatori, e d’autorità ne’ suoi cittadini”.

Anche in una economia pre-industriale le risorse agricole e forestali potevano essere minacciate, prima di tutto dalla costante tendenza ad ampliare le aree agricole a danno di quelle riservate al bosco o al pascolo. Ma i disboscamenti potevano essere causati dalle esigenze di particolari attività industriali, come quelle collegate all’estrazione e alla lavorazione del ferro. La disponibilità del legname era fondamentale per le fonderie. La legge che Cosimo I emanò nel 1559 proibiva i disboscamenti sulle cime di certi monti “per spatio di mezzo miglio di qua e di là come acqua pende” e rimase in vigore fino al 1726, con poche modifiche sostanziali.  Nel 1573, tuttavia, l’Arno fuoriesce dagli argini in una maniera ancor più violenta, distrugge ponti, invade piazze, deposita ovunque quella massa fangosa che con tanta fatica venne eliminata dopo l’alluvione del 1966.

Le modifiche al corso del fiume adottate dagli ingegneri ducali nell’intervallo di tempo tra la prima e la seconda ondata di acqua e di fango, e la legge sul disboscamento erano servite a poco. Ma la natura è misteriosa e le calamità non possono essere previste. Dopo il 1573, Firenze viene a lungo risparmiata dalle acque: dovranno trascorrere quasi due secoli perché una alluvione altrettanto disastrosa colpisca la capitale del ducato.

La storia e l’arte fiorentine sono patrimonio di tutto il mondo. Da tempo a Firenze lavorano e studiano ricercatori stranieri, in particolare americani, senza i quali la ricerca storica nel campo di Rinascimento sarebbe quasi certamente decaduta. Sono gli americani, inutile nasconderselo, a pubblicare le opere più importanti, a finanziare i ricercatori e a conservare la nostra stessa memoria. Il centro di ricerche sul Rinascimento, collocato nella Villa i Tatti che lo storico dell’arte Berenson aveva lasciato in eredità all’Università di Harvard, diede anche nel caso dell’alluvione un contributo fondamentale. Fu il direttore dei Tatti di allora che gestì direttamente i fondi immensi delle donazioni americane raccolti da Ted e Jacqueline Kennedy. È un legame con la città che non si è mai interrotto. I Tatti continuano ad essere uno straordinario luogo di studio e ricerca. Ne sa qualcosa il sottoscritto.

Indipendentemente dall’alluvione restauro e conservazione sono infiniti. Le tecniche sono sempre più raffinate ed efficaci. L’Ultima cena di Vasari che nel 1966 era apparsa irrecuperabile, dopo essere stata abbandonata per decenni, è ritornata alla luce, al termine di un restauro che ne restituisce i colori sgargianti e  la fa sembrare dipinta ieri.

NOTA REDAZIONE: Il blog di Ludwigzaller ha la sua sezione sul nostro sito. Lo potete trovare nel menu in alto sotto News, o in homepage nel blocco centrale degli Approfondimenti situato sotto la “cascata” delle notizie, cliccando su “Il blog di Ludwigzaller”.

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