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Il 4-2-3-1, quando un modulo da risorsa può diventare un problema
I grandi esperti del mondo del calcio ci hanno sempre detto che parlare di modulo è riduttivo, che semplificare una partita in formule numeriche è un’operazione rischiosa e che il calcio comprende una parte statica, ma soprattutto è composto da dinamica. E’ chiaro allo stesso tempo però che i sistemi di gioco sono punti di partenza, metodi di analisi, la base su cui si forma qualsiasi ossatura, vincente o meno.
Paulo Sousa lo scorso anno aveva sorpreso tutti innovando e portando una ventata di tattica nuova al calcio italiano, aveva lanciato l’idea della difesa a 3 quando si attacca e a 4 quando si difende e quel concetto di terzino mobile che molti dei suoi colleghi, illustri o meno, hanno ripreso. La Fiorentina della prima parte fu scintillante, quella della seconda molto prevedibile. Questa stagione il tecnico portoghese era ripartito proprio dal 3-4-2-1, aveva insistito sullo stesso spartito, consapevole che non aveva cambiato, nel mercato estivo, gran parte degli interpreti. Il copione recitato però, troppo simile alla brutta copia della sua prima Fiorentina, aveva fatto ben presto cambiare idea, con la consapevolezza che bisognava modificare qualche pedina e qualche numero di quel sistema di gioco ormai usurato.
Ecco allora l’esperimento delle due punte, tanto invocato dalla critica, soprattutto nelle sfide europee. Ecco, soprattutto, l’uso del 4-2-3-1, il modulo della folgorante notte estiva con il Barcellona dello scorso anno, il modulo della svolta anche in questa stagione. Perché a Cagliari con questo nuovo assetto la Fiorentina era tornata a brillare, perché Bernardeschi può giocare più vicino alla porta, perché Tello può preoccuparsi meno della fase difensiva, perché Kalinic può non soffrire di solitudine e avere più rifornimenti, perché Borja in mediana recuperava dinamismo e tempi di gioco, perché la difesa veniva protetta al meglio.
Numeri e prestazioni alla mano quindi la migliore Fiorentina di questa stagione l’abbiamo vista con questo assetto(Cagliari, Bologna e il primo tempo di ieri), il più idoneo a esaltare le caratteristiche dei giocatori a disposizione. Ma a ben vedere il 4-2-3-1, da favorevole risorsa, può diventare anche un piccolo problema, soprattutto quando cala l’intensità, quando nel secondo tempo la squadra entra in debito di ossigeno(soprattutto con Bernardeschi, Tello e Ilicic i veri motori del sistema di gioco) e non produce più quella mole offensiva idonea a controllare o a azzannare le partite, come accaduto ieri sera, come già successo con il Crotone. Con squadre cioè che si difendono compatte, corte, la Fiorentina manca nella zampata finale, nel forcing per attaccare e vincere la partita, si disunisce, diventa piatta e spesso rischia la beffa. I cambi di Sousa di ieri, con l’innesto di due mediani(Vecino-Badelj) e Chiesa, sono serviti più per compattare le fila che per produrre occasioni, situazioni per le quali, forse, tutti si aspettavano Babacar e Zarate. Il quesito è di quelli amletici: meglio un’ora di spettacolo e una fine in tono minore, o una maggior continuità nell’arco della gara?
Ai moduli, A Sousa la risposta.