Sarà una sorta di gara degli addii. Nessun obiettivo in palio tra Fiorentina e Pescara, solo la voglia di congedarsi da questa stagione negativa fatta di apatia e contestazioni. E allora spazio ad un pizzico di emozioni, in un’annata molto fredda e distaccata. Le lacrime di Gonzalo Rodriguez di venerdì raccontano il bello del calcio: un argentino che dopo tanti problemi è rinato a Firenze, ha messo su famiglia, è diventato un idolo. E capitano. Nella storia viola. Al di là di qualche ‘liscio’ e qualche intervento a vuoto, specie negli ultimi mesi. Ma l’attaccamento, l’impegno, la voglia di trascinare: quella non è mai mancata.
Tu chiamale, se vuoi, emozioni. In mezzo a tanto rancore. “Ho sempre dato priorità alla Fiorentina, ma non mi hanno mai chiamato in un anno per il rinnovo. Ho chiamato qui il mio procuratore, ma la riunione è durata 20′. Ho capito che non c’era più spazio per rimanere, dovevo andare via. Sebbene sia difficile. Vado via a testa alta, ho dato sempre il massimo. Mi ha solo un po’ deluso il modo in cui hanno fatto le cose“, ha detto Gonzalo. Sassolini e sassoloni. Con botta e risposta a cui hanno partecipato anche Corvino e l’agente dell’argentino. La sensazione generale è che ancora una volta la società viola non ne sia passata proprio benissimo. Al di là del valore tecnico dimostrato sul campo dal giocatore in questa stagione.
Ed è, questa, una costante che si ripete nella gestione Della Valle. ‘Capitani in fuga’, un film già visto. Prima di Gonzalo (chiuderà a 202 gare viola), toccò a Manuel Pasqual (356 presenze in viola). Meno diretto con le frecciate al termine della scorsa stagione, ma anche con il terzino ora all’Empoli i saluti non furono rose e fiori. In bilico fino all’ultimo sul rinnovo di contratto, messo da parte da Sousa ma anche deluso dal comportamento della società. Che, del resto, era nel vivo dei dilemmi ‘Sousa-non Sousa’ e ‘Pradè-non Pradè’. Conclusi poi con la conferma di Sousa e il ritorno di Corvino.
Pasqual, Gonzalo ma non solo. La lista si allunga guardando al passato. Alessandro Gamberini fu capitano della Fiorentina 2011/2012 (224 gare totali), e ceduto a fine anno al Napoli (insieme a Behrami, e al loro posto arrivarono proprio Gonzalo e Borja). “Devo essere sincero: a Firenze sono stati 7 anni importanti, ma a Napoli sono stato una stagione e la porto nel cuore. Contro i viola tifo Napoli”, disse Gamberini prima della sfida del San Paolo la scorsa settimana. Messaggio anche qui chiaro. Prima fu il turno di Martin Jorgensen (182 presenze in viola), uno dei capitani di Prandelli. “Il rapporto con Corvino non è sempre stato sereno, soprattutto quando dovevo rinnovare…”, ha ammesso un paio di volte il danese. Che poi lasciò in maniera un po’ turbolenta per tornare a giocare in patria, all’Aarhus.
Pochi giorni prima, sempre a gennaio 2010, lasciava la Fiorentina Dario Dainelli (171 gare in viola). E non fu un caso che, persi due dei pilastri dello spogliatoio, la Viola di Prandelli crollò a picco, prima con il Bayern e con Ovrebo e poi in campionato.
Nell’estate 2008, dopo quattro anni e 149 partite, lasciava invece Firenze Tomas Ujfalusi. Vice capitano di quella Fiorentina, andò a scadenza per poi legarsi all’Atletico Madrid. Prima, era arrivato l’addio al veleno di Angelo Di Livio, capitano della C2 e della B, dopo 214 partite e la riconquista della Serie A, così come i saluti anche per Luca Ariatti, capitano del 2004/2005.
Nel mezzo, anche il turbolento rapporto con Riccardo Montolivo, quello andato ‘al Milan per vincere’ nell’estate 2012, dopo 260 presenze in viola. Il lungo tira e molla sul contratto, e la fuga del capitano verso Milano.
“Chi sarà il futuro capitano? Dico Borja Valero. E chi sennò?”, ha risposto sicuro Gonzalo Rodriguez. Mentre Pasqual un anno fa indicò Davide Astori. Una disputa tra italiani e ispanici per la fascia, con la candidatura di Federico Bernardeschi in caso di rinnovo e permanenza. Una fascia comunque non proprio benaugurante, in casa Fiorentina, nel rapporto storico tra la società e i suoi capitani. ‘Vorrà dire che poi andrò via anche io’, ha riso con una battuta Borja Valero.
Di
Marco Pecorini