C’era una volta un portiere. Un gigante di quasi 2 metri, buono come il marzapane, forte come una quercia. In una notte da sogno andò in terra come una ghigliottina salvando un gol certo di Kanu. E la Fiorentina, grazie anche a lui, vinse a Wembley… La favola viola di Francesco Toldo potrebbe cominciare così. Oggi quel numero uno ha 45 anni e si occupa degli ex interisti.
L’anima è la stessa perché Francesco è un uomo per bene, come pochi. Dopo Firenze arrivò la Milano nerazzurra: in totale 11 trofei vinti, con tanto di Triplete nell’era Mourinho. Ma prima in viola aveva conquistato una promozione in A, 2 coppe Italia e una Supercoppa: «Firenze è il primo amore, un periodo stupendo della mia vita: ho vissuto tra le colline e respirato l’aria dell’arte. Milano la consacrazione. Spero però che i Della Valle escano dal limbo perché la Fiorentina merita di stare più sù…». E tra poche ore si gioca a San Siro la sfida tra Pioli e Sousa.
Francesco, come è la nuova vita?
«Sono responsabile di Inter Forever, le leggende dell’Inter. Un’idea che mi venne 4 anni fa trovando subito l’entusiasmo di Moratti e ora della proprietà cinese».
Chiuda gli occhi, qual è la prima immagine che le salta in mente di Firenze?
«Un po’ turbolenta… Ma dopo qualche anno ho capito la bontà di quel gesto… Era il 1 dicembre ’93, da pochi mesi giocavo nella Fiorentina. Perdemmo 1-2 e fummo eliminati negli ottavi di coppa Italia contro il Venezia al Franchi (doppietta di Cerbone, gol di Batistuta ndr), Effenberg sbagliò un rigore: corremmo a barricarci negli spogliatoi perché i tifosi volevano sfondare la porta. Ricordo ancora il rumore della maniglia».
Piazza calda…
«Sì, ma con un cuore immenso. Sempre in quella stagione, in casa col Pisa vincemmo 4-1, ma il loro gol fu colpa mia. Scivolai, persi il pallone, commisi una papera. Il Franchi mi incoraggiò all’istante e io pensai: Francesco, questo è il tuo stadio».
L’inizio di un grade romanzo a Firenze.
«Più che altro un rapporto schietto, senza fronzoli. Un gruppo determinato e i Cecchi Gori che avevano voglia di tornare in alto. Anni bellissimi».
Tanto che quando è entrato nella Hall of Fame viola lei si è messo a piangere.
«Pensate che piango di rado, ma sento le cose fatte con emozione. Ho bruciato le tappe: a 15 anni sono andato in porta perché ero stufo di correre. A 17 ero in Primavera al Milan e a 22 anni la Fiorentina mi ha lanciato nel grande calcio».
La sua Firenze era Bagno a Ripoli.
«Via della Martellina: ho ancora casa lì. Ci sono affezionato. Che risate col mio grandissimo amico Mareggini, una persona meravigliosa: un giorno Giammatteo mi dette una mano a montare la cisterna d’acqua interrata. Eravamo due bestie, fisici incredibili (e scoppia a ridere, ndr)».
Era la Fiorentina di Batistuta.
«Gabriel, il leader per eccellenza. Ci siamo ritrovati dopo qualche anno e come due bambini dell’asilo ci siamo detti che ci volevamo un gran bene. Siamo molto legati».
Anche perché voi due ai Campini davate spettacolo…
«Finiva l’allenamento e Gabriel si avvicinava: Francesco, vai in porta. Ma come, dicevo io, anche oggi? Sì, ribatteva lui, anche oggi… Così cominciava il bombardamento».
Palloni come proiettili?
«Sì, ma lo facevo sudare e i tifosi che assistevano da fuori applaudivano. Bati era così: a 30 anni si svegliò una mattina e decise che doveva imparare a battere le punizioni col sinistro. E ci riuscì…».
Belli i Campini a quei tempi?
«Come minimo c’erano mille persone a seduta. Carezze o critiche, questo ci rendeva più forti. Purtroppo oggi gli allenamenti sono blindati».
Nella sua carriera c’è anche la mitica semifinale con l’Olanda, ad Euro 2000, quando ai calci di rigore diventò Super Toldo.
«Mi fermano ancora per strada per farmi raccontare quell’impresa. Tre rigori parati, due fuori e un gol segnato da Kluivert…».
Trionfi viola: come li descrive?
«Pieni di colori, bandiere, cori, con tantissimi tifosi. Coppa Italia e Supercoppa Italiana sempre nel ‘96. Anche se quello del 2001, l’ultimo, mi fa più effetto».
Perché?
«Sentivo che sarebbe stata l’ultima stagione a Firenze. Al mio sponsor chiesi di rifarmi i guanti tali e quali a quelli di Zoff del Mondiale ’82, con il palmo rosso. Per me fungevano da stimolo. Volevo andarmene con una vittoria: lo imposi a me stesso e alla fine ce la feci».
Che rabbia, però, per lo scudetto non vinto nel ’99…
«Avevamo un organico forte, una squadra spavalda e aggressiva, ma senza panchina lunga. Sarebbe bastato un raffreddore a farci perdere punti preziosi».
Anche le notti Champions non furono male: la parata su Kanu leggendaria.
«Quell’intervento fu merito anche di Bardin, mio preparatore dell’epoca: nella settimana precedente alla sfida con l’Arsenal, mi fece fare allenamenti specifici per parare in anticipo sulla diagonale. Quando Kanu partì io ero pronto a intervenire».
Un anno dopo, nel 2001, lei fu trasferito all’Inter per 55 miliardi di vecchie lire: la Fiorentina era già in piena crisi economica.
«Ero in vacanza, accesi la tv e il Tg dette la notizia del passaggio mio e di Rui Costa al Parma. Io non sapevo nulla, ma dissi subito che al Parma non sarei andato. Si fece sotto l’Inter e partii. Che dolore andarsene, mi passarono davanti 8 stagioni a Firenze».
Come finisce Inter-Fiorentina?
«Sono da 16 anni in questa società: abbiamo bisogno di punti per risalire, spero di vincere. Ma i viola stanno bene».
Chi le piace di più?
«Ilicic, gran trequartista. Ha il sinistro ispirato e si fa dare la palla quando scotta».
Bernardeschi?
«L’ho avuto in Nazionale Under 21 con Di Biagio. Federico è fortissimo, ha il futuro nelle sue mani».
Di
Redazione LaViola.it