Articolo su Tuttosport a firma Vittorio Feltri, che racconta Diego e Andrea Della Valle. ‘Fratelli effervescenti’, il titolo del pezzo.
“Descrivere un amico è sempre rischioso. Descriverne due nello stesso articolo è una impresa temeraria. Oggi vi racconto i fratelli Diego e Andrea Della Valle, gente popolare che merita lodi e qualche pizzicotto. Conobbi per primo Diego, sul finire degli anni Ottanta. Al tempo dirigevo l’Europeo, settimanale Rizzoli di successo. L’uomo, giovanissimo (nacque nel 1953) mi fu presentato dal mio eccellente vicedirettore, Maria Luisa Agnese, che poi divenne la numero uno di “7” del Corriere della Sera. L’incontro avvenne in un ristorante del centro milanese. L’industriale mi parve fin da subito assai vispo, arguto, pronto. Mi spiegò quale fosse la sua attività, ramo calzaturiero. Benché a me delle scarpe non importasse un accidenti, egli riuscì a intrigarmi con tomaie e suole. Agnese poi mi convinse che quel giovanotto era da tempo sulla rampa di lancio, ma ne ero già convinto. Da quel dì frequentai assiduamente il giovane imprenditore, incuriosito dalla sua personalità simpatica, generosa e perfino divertente nel porsi provinciale quanto me, lui marchigiano di Ascoli e io orobico polentone.
Tra noi si stabilì un certo feeling che non è ancora venuto meno. Diego mi narrò a puntate la sua vicenda. Suo Padre, Dorino, nomen omen, il fondatore della ditta, era un provetto, artigiano capace di produrre raffinatezze per i nostri piedi. Di solito i figli sono specialisti nel distruggere le opere dei genitori, trasformandole in cadaveri. Diego, invece, interruppe gli studi di giurisprudenza a Bologna e prese in mano l’azienda di papà dandole un impulso virile al punto da farla diventare un marchio mondiale. Il cui lancio avvenne in modo singolare. L’erede di Dorino, sveglio come l’insonnia, si inventò le scarpe che si reggevano su 133 pallini di gomma. Piacquero immediatamente alla gente che piace, per esempio Gianni Agnelli e Luca Cordero di Montezemolo, che le adottarono mostrandosi in tivù ed esibendole così a un pubblico vasto. Fu un trionfo. Nel giro di pochi mesi le calzature pallute sfondarono sui mercati internazionali. Piovvero denari a iosa nelle tasche della famiglia Della Valle, di cui il primogenito divenne senza discussioni il leader massimo. Ovvio, il comandante non si elegge, si impone coi fatti. Da quel momento Diego straripa: nella finanza, nell’industria, nelle manovre del capitalismo ad alto livello. Ormai ricco, mette il naso dappertutto e spesso detta legge. È bravo, intelligente e perfino simpatico. Non sbaglia un colpo e anche le sue polemiche vanno a segno. E’ un big.
Il fratello Andrea, suo alter ego, è una spalla efficiente, intenditore di calcio. Ecco perché i due consanguinei si avventano sulla Fiorentina in disgrazia, che disputa il campionato di C2, e la acquisiscono portandola rapidamente in serie A: un miracolo. Andrea è astuto e il fratellone lo asseconda sorvegliando sui conti, i quali giustamente gli stanno a cuore. Nel breve i gigliati negletti fanno faville e guadagnano posizioni di rilievo nel massimo campionato. I tifosi viola esultano e si riabituano in fretta ad essere protagonisti. Però agli ultras non basta mai ciò che hanno e protestano per avere di più. Pretendono lo scudetto, magari la Champions, urlano, strepitano, rompono i palloni ai Della Valle da cui si aspettano l’impossibile: massacrare la Juventus dominatrice, come fosse un gioco da ragazzi. Assurdo, ridicolo. Obiettivo irraggiungibile se si considera che la Fiat è una società gigantesca e danarosa, mentre i Signori delle scarpe, pur potenti, non possono competere con essa. È già un prodigio il fatto che la Fiorentina sia resuscitata e riemersa nei quartieri alti della classifica grazie agli sforzi economici di Diego e Andrea.
Confesso: amo il giglio magico dal 1956, quando ragazzino vidi una partita a Bergamo, Nerazzurri contro Viola. Pioveva. Un terzino orobico, Roncoli (professione farmacista), scivolò sull’erba bagnata e lasciò a Montuori, favoloso argentino, una palla da spingere in porta e amen. Il sudamericano, sportivamente, calciò fuori per pietà, e l’incontro continuò a risultato invariato. Poi vinse la Fiorentina, ma il gesto nobile di Montuori rimase impresso nella mia mente infantile, cosicché da allora ebbi un debole patologico per le maglie viola. Recentemente, durante una cena con i Della Valle a Milano, in corso Venezia, qualcuno dubitò della mia sincera adesione affettiva al club del capoluogo toscano e, per smentirli, chiesi se tra i presenti vi fosse chi rammentasse la formazione gigliata che conquistò il primo scudetto. Nessuno rispose correttamente. E allora recitai: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta e Segato, Julinho, Gratton, Virgili, Montuori e Prini. Tra i convitati, solo Panerai, editore di Class ed ex giocatore della Fiorentina, mi applaudì consapevole che ci avevo azzeccato. Gli altri rimasero muti, forse ammirati. Lo stesso giochetto feci in precedenza a Matteo Renzi al telefono, e l’allora premier rimase di sasso, complimentandosi con me. Non discutemmo più di politica ma solo di calcio. In ogni caso, alla successiva cena con i Della Valle, Andrea mi regalò una maglia viola con il mio nome e tutte le firme dei giocatori gigliati. Che conservo come un bambino in camera mia, appesa al muro”.
