Lei e Vincenzo Montella, il vostro cammino professionale si è sfiorato più volte, ma mai incontrato… immagino all’esperienza di Empoli: Vincenzo ha lasciato la maglia azzurra alla fine della stagione 1994-95, lei è arrivato nell’estate del 1995. Poi a Genova sponda Samp: l’attuale tecnico della Samp ha salutato i colori blucerchiati alla fine del campionato 1998-99, lei è arrivato nella stagione successiva. Ma immagino che comunque abbiate avuto modo di conoscervi…
«Assolutamente sì. Io e Vincenzo ci siamo conosciuti da ragazzini, essendo tutti e due napoletani, anche se non abbiamo mai giocato insieme, come hai detto tu. Ed è stato un peccato. Guarda, ti racconto un aneddoto: io nel 1998-99 dovevo andare alla Sampdoria con Luciano (Spalletti, ndr). Poi lo stesso tecnico mi disse: “Aspettiamo un anno”, ma i blucerchiati retrocessero proprio in quella stagione, Vincenzo se ne andò (a Roma) e io non potetti giocarci insieme. Ti dico, però, che ho avuto anche la fortuna di abitare in casa sua, a Genova. Perché quando lui andò via dalla Samp, andai io ad abitare in quella che era stata la sua casa. Anzi, siccome lui e la sua ex moglie si erano innamorati di Genova, spesso è capitato che venissero da me e dalla mia famiglia. Erano spesso da noi. Ah… piccola curiosità: quando sono andato via io dalla città ligure, volete sapere chi è andato ad abitare in quella casa?».
Chi?
«Nicola Caccia, oggi collaboratore tecnico di Vincenzo. Insomma, il destino ha voluto che io, Vincenzo e Nicola, tutti e tre napoletani, tutti e tre con un passato importante a Empoli, non ci incontrassimo mai nello stesso club. Morale della favola, non abbiamo mai giocato insieme, ma ci siamo rivisti tutti qua. Caccia l’ho incontrato giovedì scorso, giorno in cui tutti noi ex empolesi ci ritroviamo per giocare a calcetto… lo scorso anno veniva anche Montella, ma io non c’ero, sono stato coinvolto in questa abitudine quest’anno visto che sono tornato a Empoli per lavoro. Lo sai la cosa bella qual è? Che ognuno di noi ha la propria strada, magari non ci vediamo per anni, ma da buoni napoletani quando capita di rincontrarci è come se fossimo stati sempre insieme. Anche Nicola non lo vedevo da anni, poi l’ho rivisto alla fine del campionato scorso a Empoli ai play off e poi, dopo mesi, l’ho rivisto (appunto) giovedì: ci siamo abbracciati come se il tempo non fosse mai passato».
Torniamo a Montella…
«Montella è veramente un bravo ragazzo, una persona squisita. E aggiungo che è un grande allenatore, oltre ad essere stato uno dei più grandi attaccanti che il calcio italiano abbia mai avuto. E dirò di più… anche un po’ sottovalutato. Faccio un esempio: ci sono molti attaccanti, adesso, inferiori a lui ma che stanno facendo un percorso importante. Un nome, Matri, che ritengo un giocatore ‘normale’. Per le caratteristiche che aveva e che ha, Vincenzo avrebbe potuto far bene anche nel calcio di oggi. Anzi, potrebbe giocare ancora a grandissimi livelli. Vuoi sapere qual era il suo difetto? Che faceva sempre gol – scherza –. Ovviamente era un difetto per gli avversari. In realtà era un suo grande pregio. Ma torno ad oggi perché si sta dimostrando un grandissimo allenatore. Ne parlavano già bene ai tempi della Roma. Conoscevo delle persone nella Capitale e mi parlavano molto bene di lui già quando ha iniziato in giallorosso, mi dicevano che avrebbe fatto una grande carriera».
Se lei dovesse scegliere un allenatore col quale poter confrontare Montella, che nome farebbe?
«Luciano (Spalletti, ndr). Non ho dubbi! Per me è il più grande di tutti, come allenatore e come persona. Ed è anche un grande psicologo. Vincenzo ha molto di lui. Vuoi sapere cosa invidio a Montella? La sua tranquillità, la sua calma. È sempre molto tranquillo, nonostante stia lavorando in una piazza come Firenze bellissima, ma che ti mette sotto pressione dal lunedì al lunedì. Questa è la sua forza».
Torniamo indietro nel tempo. Lei ha avuto modo di indossare la maglia viola nel periodo più bello dell’epoca Cecchi Gori, ovvero nella stagione 1998-99 quando con Trapattoni la città ha sognato il 3° scudetto. Ci racconta, a distanza di anni, quali erano le sensazioni dello spogliatoio? La squadra credeva nell’impresa oppure non ne è mai stata convinta fino in fondo?
«Sì, ci credevamo, anche se avevamo molti problemi, tra cui Edmundo… Però, per rispondere alla tua domanda, dico sì, c’era una grande convinzione. Noi eravamo sicuri di poter vincere lo scudetto quell’anno. Anche perché nel girone d’andata eravamo primi, in Coppa Uefa è successo quel che è successo, in Coppa Italia abbiamo perso la finale… insomma avevamo consapevolezza nei nostri mezzi. Poi, però, Batistuta si fece male ed Edmundò partì per il Carnevale. È storia ormai nota… Però, fattelo dire col cuore in mano: quella è stata la Fiorentina più forte degli ultimi 40 anni. Il tecnico era uno come il Trap, un mito del calcio. Poi c’era gente del calibro di Bati, Rui, gente forte e con una personalità importante. Per me Firenze giocatori con quel carisma non li vedrà più, nonostante oggi la Viola abbia calciatori importanti, forti. Ma non come loro».
Cecchi Gori, in una recente intervista ha dichiarato che una delle partite simbolo (in negativo) di quella stagione fu Perugia-Fiorentina, quando fu concesso un ‘clamoroso’ rigore agli umbri. Lei che ne pensa?
«Sai, quelli sono episodi. Situazioni. Si può solo dire che quella Fiorentina poteva vincere lo scudetto ad occhi chiusi».
All’epoca si mormorava che uno dei rinforzi di gennaio potesse essere Boban…
«Noi non abbiamo mai sentito questa voce. Secondo me, però, l’arrivo di un giocatore così importante sarebbe potuto diventare un problema in più, anche perché la Fiorentina aveva trovato un assetto di squadra che era veramente forte».
Con Batistuta ed Edmundo lontano a causa di infortuni e Carnevale, al di là dei problemi di convivenza, la storia sarebbe potuta essere realmente diversa?
«Sì. Assolutamente sì. Guarda uno era argentino, l’altro brasiliano e sappiamo che tra argentini e brasiliani non corre buon sangue… a questi aggiungici un portoghese… ma credimi, in campo si aiutavano tutti e con loro due la storia sarebbe stata diversa».
Ma nello specifico, cos’è che faceva arrabbiare di Edmundo?
«Edy era un ribelle, ‘odiava’ i portoghesi, gli argentini. Io stavo benissimo con lui, anche perché era molto simpatico, ma probabilmente c’era qualcosa che non andava e si ribellava. Insomma, lui non voleva rimanere a Firenze. Quell’anno voleva andarsene. Lo convinsero a non farlo ma nel frattempo pensarono a me. Questa è la storia: io avevo firmato per il Bologna, poi mi chiamò la Fiorentina, anzi venne Trapattoni da me e mi disse: “Guarda che Edmundo andrà via sicuramente a gennaio, perché qui non ce la fa a rimanere. Vieni tu a Firenze”. Poi Cecchi Gori, che stravedeva per lui, lo trattenne a ‘forza’ non facendolo partire neanche nel mese di gennaio e forse fu un errore, visto poi come sono andate le cose. Anche perché in quella Fiorentina c’era gente con più carisma di lui… Perché diciamoci la verità: da Natale in poi, da quando Bati si fece male e lui partì per il Carnevale, è finita la Fiorentina. Da lì è finito tutto e i problemi che riuscivamo fino a quel momento a nascondere, sono venuti fuori ed è diventato un caos».
Parlando di attaccanti le chiedo qual è il suo preferito per eccellenza?
«Batistuta. Per me lui è il simbolo dell’essere uomo, il simbolo del calcio. Mi vengono i brividi a pensare ai problemi di salute post carriera che ha avuto… ma lui era il simbolo della Fiorentina e non solo. Il numero uno in assoluto».
Lei doveva arrivare e prendere il posto di un Edmundo scontento. Poi il brasiliano è rimasto, per lei cos’è cambiato?
«Assolutamente niente. Un giocatore come me che veniva da platee ‘normali’, che aveva giocato ad Empoli ed era stato capocannoniere per tre anni davanti a mille persone, e si ritrova a Firenze, davanti a cinquantamila persone… non poteva che essere felice. E’ stato fantastico. E poi, giocare con questi campioni è il sogno di ogni calciatore».
Il ricordo che non cancellerà mai dell’esperienza fiorentina?
«Il gol che ho fatto al Piacenza al 91’ il 21 marzo del 1999 che è servito come il pane per regalare a Firenze un posto in Champions League. Ti racconto anche un aneddoto: in quella partita (la Fiorentina batté il Piacenza 2-1), il Trap sostituì Edmundo al 57’. Poi ad un quarto d’ora dalla fine del match entrai io e a due minuti dalla fine riuscii a segnare il gol partita. Dopo la vittoria, il tecnico ci dette un giorno in più di riposo, così riprendemmo gli allenamenti il mercoledì. Nello spogliatoio io ed Edmundo ci incrociammo e lui mi disse “Grazie e complimenti per il gol”. E io gli risposi “Perché tu non l’avevi visto?”. E lui mi disse “No”. Insomma, lui quando il Trap lo sostituì se ne andò a casa senza neanche cambiarsi e senza vedere più niente».
E dell’esperienza in Coppa Uefa, che ricorda?
«Te lo racconto attraverso un altro aneddoto… Giocavamo a Salerno (tutti lo ricordano…) e, giocando vicino a casa, a vedere la partita erano accorsi in massa amici e parenti. Verso la fine del primo tempo il Trap mi mandò a riscaldare perché, in vantaggio per 2-1, mi avrebbe fatto entrare nel secondo tempo. Io stesso avevo chiesto al tecnico “Mister, fammi entrare… hai visto quanta gente ho qui a seguirmi?”. E lui: “Sì, tranquillo”. Poi, come iniziai il riscaldamento, ecco la bomba e tutto il caos che ne conseguì… Peccato perché quella Coppa Uefa l’avremmo potuta vincere».
Dalla sua Coppa Uefa all’Europa League della Fiorentina di Montella: ce la farà la squadra viola ad arrivare fino alla fine?
«Penso di sì. La Fiorentina, oltre a giocare un bel calcio, è come il suo allenatore: molto tranquilla. Ha ottimi giocatori e può arrivare lontano. Aggiungo che mi dispiace molto per Gomez: è uno dei centravanti più forti che ci sono in questo momento e sono molto curioso di vederlo all’opera al fianco di Pepito Rossi».
A proposito di esperienza fiorentina: lo sa come l’avevano soprannominata?
«Sì, certo: il pizzaiolo. Ma lo sai chi è stato il primo a chiamarmi così? L’arbitro Braschi. Lui dopo una partita, nello spogliatoio, mi disse “Tu parli un italiano-napoletano e sei simpaticissimo, quindi per me tu sei un pizzaiolo…”. Da lì è nato il mio soprannome. Anche in campo mi chiamava così. Addirittura ci fecero una maglietta…».
La differenza tra la sua Fiorentina e quella attuale?
«Noi eravamo Batistuta-dipendenti, mentre Vincenzo fa giocare la squadra. La Fiorentina di Montella gioca proprio bene. Ha un super Cuadrado, ha un grande Borja Valero. Mi piace tantissimo anche Gonzalo Rodriguez. Nella ‘mia’ Viola il motto era ‘palla a Bati’, era il singolo che faceva la differenza e non ce n’era per nessuno. In quella attuale funziona il gruppo, il complesso, il gioco con la palla. Due squadre diverse, insomma».
Se le dico Pepito Rossi, lei come mi risponde?
«Un grandissimo giocatore. Non lo conoscevo bene, mi ha impressionato. È anche un ragazzo eccezionale, sembra molto tranquillo nonostante la forte personalità. E poi la classe… Ripeto: sono curioso di vederlo con Gomez. Sono certo che insieme formeranno una delle coppie in assoluto più forti».
Batistuta o Gomez?
«Batistuta tutta la vita. Scrivilo a caratteri cubitali».
Rossi o Edmundo?
«Edmundo era troppo forte. Era un giocoliere. E poi, da buon brasiliano, era sempre sorridere. Lui era la massima espressione di calcio&allegria… quando non aveva la saudade».
Mi dà una sua impressione sul giovane Matos?
«Può fare ottime cose. Dico solo che se Vincenzo lo ha inserito, significa che ci crede. E questa è una garanzia».
E invece il suo ricordo legato alla maglia della Sampdoria?
«E’ un ricordo amaro. Essendo tifoso della Samp dai tempi della coppia Vialli-Mancini (dopo il Napoli di Maradona ho sempre simpatizzato Doria), ho desiderato tanto vestire quella maglia. Ma il primo giorno, durante il primo allenamento, mi ruppi la spalla in un contrasto con un giovane Stendardo che già all’epoca picchiava come un fabbro. Poi mi ricordo Garrone: un grande presidente!».
Domenica la Fiorentina affronterà la Sampdoria al Franchi. Che partita si aspetta?
«La Samp è messa male. Secondo me è una seria candidata alla retrocessione, purtroppo. Mi dispiace dirlo, ma secondo me quest’anno sarà molto dura».
Cosa non farebbe tornasse indietro?
«Andare a Vicenza. Tornassi indietro non lascerei la Samp per andare al Vicenza (mi volle Reja), dove mi hanno trattato malissimo. Dove ho toccato con mano il razzismo. Sono stati sei mesi davvero tosti quelli».
Ha presente il programma ‘I signori del calcio’? Ecco… se io le chiedessi: chi è IL signore del calcio?
«Per non essere ripetitivo non dirò Bati ma Luciano (Spalletti, ndr). Lo stimo molto sia come allenatore che come persona».
Chi vincerà lo scudetto?
«Il Napoli. La squadra più forte è la Roma, è molto quadrata, ma spero il Napoli».
Ma… Maradona ‘e megl’e Pelé?
«Sicuramente. Quello era da vedere. Quello, credimi, era un incanto in campo e sul lato umano. Lui baciava e abbracciava sempre tutti, anche noi più giovani e poi si divertiva a palleggiare con arance e mandarini. Uno spettacolo».
Un’ultima cosa: a quale domanda avrebbe voluto rispondere, che io non le ho fatto?
«Più che rispondere ad un’altra domanda ti dico quel che mi piacerebbe fosse possibile: togliermi 10 anni dalla carta d’identità per tornare a giocare a calcio».
Di
Redazione LaViola.it