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Echi del passato: da Palladino a Pioli, tra verità, frecciatine e possibili soluzioni per oggi

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Le parole dell’ex allenatore (con tempistiche rivedibili), i paragoni con lo scorso anno e qualche segnale da cogliere

Due punti in quattro partite e un passato che ritorna. Non solo perché la Fiorentina di oggi ricorda, sul campo, da vicino quella di 12 mesi fa. Spenta, spaesata, incapace di essere squadra, con tante difficoltà in tutti i reparti. Anche se ci sono tante differenze di base. Ma anche perché proprio nel momento più complicato di un’inattesa crisi di inizio stagione, ecco che è arrivata stamani la versione di Raffaele Palladino. L’ex tecnico ha parlato per la prima volta alla Gazzetta di quell’addio improvviso di fine maggio: “Io intendo il calcio come un puzzle, tutti i pezzi si devono incastrare per funzionare. Sono orgoglioso del lavoro fatto a Firenze, ma non c’erano più le condizioni per andare avanti insieme. Idee e visioni troppo differenti. La clausola di prolungamento attivata prima del Betis? Me lo ricordo bene quel giorno. Sul momento mi aveva fatto piacere, ma ragionando poi a mente fredda, sentivo che restare non era più possibile. E questa sensazione me la portavo dentro da un po’“.

TEMPISTICHE RIVEDIBILI. Niente di particolarmente nuovo o trascendentale, con tempistiche che lasciano ancora perplessi così come hanno spiazzato Commisso e la società a maggio con le improvvise dimissioni il giorno dopo la conferenza di fine stagione. In cui Rocco aveva definito Palladino “come un figlio”. “Io con Galliani mi trovavo su tutto: dal lavoro quotidiano al mercato. Altrove non funzionava così…“, la frecciatina che arriva dall’ex Monza verso Pradè e forse non soltanto. Ma niente che non si sapesse, insomma. Mentre Pradè un paio di settimane fa aveva detto che “sicuramente le dimissioni di Palladino sono state inaspettate: lui ha fatto un ottimo lavoro, forse anche io sono stato troppo entrante in alcune situazioni come a Monza, Verona e Venezia. Ma è anche il mio lavoro dare stimoli e scosse“. Tempistiche, dicevamo, perché anche decidere di tornare a parlare proprio in questi giorni di grande confusione, dopo un’altra dura contestazione della Fiesole… non il massimo. 

IL PASSATO. E se la parte su Giovane del Verona (“lo volevo a gennaio, ma il club ha fatto altre scelte“) sposta poco anche se magari più di uno Zaniolo (pesce fuor d’acqua) avrebbe fatto, il focus si sposta sulla Fiorentina di oggi. Che è ciò che interessa di più. Perché gli echi del passato riguardano lo stesso tipo di gioco dei viola. Pioli ha detto dopo il Como di non sapere come giocava prima la Fiorentina, ma è indubbio che il tecnico abbia invece analizzato da vicino giocatori e rosa nelle settimane prima dell’arrivo a Firenze. Chiaro che il tipo di calcio che ha in mente Pioli sia molto diverso da quello di Palladino, ma in un momento dove sia fa una difficoltà tremenda a trovare la quadra e una soluzione per venir fuori da più tipi di difficoltà, cercare di riproporre qualche certezza del recente passato potrebbe non essere una cattiva idea. Come quando Palladino passò dall’ideologia (gasperiniana) dell’uomo su uomo a una Fiorentina più accorta ed equilibrata. Era la 5° giornata, quel Fiorentina-Lazio che ha segnato una prima svolta della scorsa stagione. Ecco, dopo il 4-4-2 di Pioli contro il Como, forse guardare indietro potrebbe suggerire di mettere più a suo agio innanzitutto il giocatore forse più forte di questa squadra: Moise Kean. Mettere da parte (almeno per il momento) l’idea di doppio centravanti, aggiungere un centrocampista in più (anche per coprire quelle voragini viste più volte in queste partite), dare più spazio e libertà a Kean. Certo, recuperare Gudmundsson in questo senso non sarebbe poco verso Pisa.

RIDARE CERTEZZE. In tempi di carestia di prestazioni e risultati, del resto, ci sono due priorità: ridare qualche sicurezza alla squadra, mettere i giocatori nelle condizioni di rendere al meglio e magari dare più equilibrio e copertura alla difesa. Ecco, la sintesi del tutto potrebbe essere proprio il ritorno ai tre dietro, con i due esterni di centrocampo, ma anche un uomo in più in mezzo e più giocatori di inserimento (anziché statici) ad accompagnare il centravanti. Che non vuol dire tornare al tipo di calcio di Palladino (da cui la società e gran parte della piazza hanno voluto ben distaccarsi), ma trovare delle piccole/grandi basi da cui ripartire. A cui appigliarsi per iniziare a costruire qualcosa. Pioli ci ha provato contro il Como, ma rinnegando di fatto due mesi di lavoro e passando ad un sistema di gioco che a lui stesso dava più certezze. Come il 4-4-2. Un modulo, o meglio un sistema di difesa a quattro con due coppie di esterni per fascia, che l’allenatore ex Milan ha di fatto sempre utilizzato negli ultimi 10 anni di carriera. Altre memorie del passato (stavolta di Pioli) che però non hanno trovato risvolti positivi. La speranza, a proposito di collegamenti con un anno fa, è che la 5° giornata di campionato porti consiglio e soprattutto la svolta tanto attesa. Quel Fiorentina-Lazio dette inizio al filotto di 8 vittorie consecutive. Hai visto mai che a Pisa…

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