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De Sisti: “Pesaola ci faceva sentire invincibili, mi adorava. Un furto nell”82″

In un’intervista alla Gazzetta dello Sport il grande ex viola ripercorre le tappe della sua vita sportiva e non: “Rischiai di morire nell”84″

«Ero un regazzino del Quadraro, sono arrivato alla finale della coppa del mondo all’Azteca contro il Brasile di Pelé: e chi l’avrebbe anche solo sognato? A scuola ero una campana, tirando calci a un pallone sono diventato commendatore della Repubblica. Sono sposato con mia moglie Nadia da cinquantanove anni, abbiamo tre figli e sei nipoti. A cinquant’anni ho rischiato di morire, ma ha vinto la vita. Sa cosa le dico? Sono un uomo fortunato». Parla così Picchio De Sisti, uno dei grandissimi della storia viola, a La Gazzetta dello Sport.

ROMA E FIORENTINA. «Roma è casa, Firenze lo è diventata. Andai alla Fiorentina che avevo 22 anni, la Roma aveva necessità di fare cassa, c’era stata la colletta dei tifosi al Teatro Sistina. Qualche lacrima la versai, ma i fiorentini mi accolsero come se fossi un giocatore vero (dice proprio così: “Giocatore vero”: l’umiltà di De Sisti). Dopo il debutto il presidente Baglini mi portò a Milano, a casa di certi suoi amici industriali: voleva farmi vedere, come un orologio nuovo. Non mi sono mai vergognato tanto».

LO SCUDETTO DEL ’69. «Era la Fiorentina Yè-Yè di Pesaola, andavamo fortissimo. Il Petisso mi adorava. Un giorno gli chiedo se per favore posso saltare l’allenamento del pomeriggio per un impegno all’ufficio erariale. Mi risponde: “Piccio, lei non ha capito un casso”. Lo guardo stupito. E lui: “Piccio, qui comanda lei, qui è tutto in mano sua”. Pesaola ci faceva sentire invincibili. Diceva alla squadra: “Guardatemi bene quando parlo, perché il 50 per cento è verità e il 50 per cento bugia. E voi dovete essere bravi a distinguere».

I MIGLIORI ANNI. «1966 mi sposo, 1967 nasce la mia prima figlia, 1968 vinciamo l’Europeo all’Olimpico, 1969 scudetto con la Fiorentina, 1970 gioco la finale del Mondiale contro il Brasile più forte di sempre: (ride, ndr ) c’era da svenì».

I CAMPIONI INCROCIATI. «Pelé soprannaturale, Schiaffino un maestro, Beckenbauer regale, Overath un fuoriclasse. Ho giocato con Riva, il migliore. Mazzola e Rivera, Merlo e Hamrin, anche John Charles alla Roma. Ho allenato Antognoni e Pecci, due campioni».

LO SCUDETTO SFIORATO DA ALLENATORE NELL”82. «Da magnasse le mani, lo considero un furto. Ho allenato poco, nel 1984 ho rischiato di morire per un sub-ascesso dentale, subii un intervento al cervello. Tornai, ma non era più come prima. Quel problema mi aveva penalizzato, ma pensavo: sono vivo. Cosa contava vincere o perdere una partita?».

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