La Fiorentina si aggrappa ai gol di Kean, ma nell’economia della squadra di Palladino deve cominciare a incidere anche Albert
All’andata gli bastò un lampo per accendere la partita e la Fiorentina. Albert Gudmundsson uscì dalla panchina, il tempo di giocare due palloni e subito si conquistò il calcio di rigore che pareggiò la capocciata di Gila nel primo tempo. Fu la sua partita, perché poi spedì due rigori in porta, sotto la ‘Fiesole’ seppur collocata dalla parte opposta rispetto alla sua posizione naturale. Allora bastavano i lampi. La condizione era quel che era, ma c’era la speranza di averlo presto come quello del Genoa. Al processo non pareva badar troppo. Contava rimettersi in forma il prima possibile.
Prova che poi fu incolore a Empoli, ma in casa contro il Milan fece esplodere di nuovo il Franchi dopo quel rinvio lungo addomesticato da Kean al limite dell’area, spedito poi dall’islandese alle spalle di Maignan. “Visto? Non si vede per tutta la partita, ma poi è decisivo“, diceva la gente. Eppure il gol in campionato gli manca da lì. Era l’inizio del famoso filotto. Era il 6 di ottobre. E quel pensiero non era poi così giusto. Gud non fa il centravanti di mestiere. Lui deve stare dentro il gioco, durante la partita si deve vedere eccome.
In mezzo tanti altri discorsi, poco di concreto. Un gol al Lask su rigore quando ormai la gara era finita in goleada. Problemini fisici qua e là, continuità ancora da trovare. Palladino sa che deve dargli minuti. Non può fare altro. A livello tattico può agevolarlo, certo, ma il resto dovrà mettercelo lui. Già dall’Olimpico. Già contro la Lazio. Unico trequartista centrale o in coppia con Beltran. Sempre alle spalle di Kean, per migliorare numeri e prospettive.
Ad oggi 10 presenze sole in campionato, 14 in totale. Minuti giocati pochini: 624 in tutte le competizioni. Ma soprattutto sono pochi i gol, soltanto 4. Servono quelli alla Fiorentina. Magari anche gli assist (fin qui uno solo). In definitiva serve il vero Gudmundsson. Quello dei lampi di ottobre. Ma anche meglio.
Di
Alessandro Latini