La Gazzetta dello Sport in edicola questa mattina ripercorre i 17 anni dell’era Della Valle. Niente titoli per la Fiorentina, ma gesti di valore
«Lo facciamo per cercare di restituire a questa città una squadra che ha una grande storia e che ho sempre guardato con grande affetto». Con queste parole, nell’agosto 2002, Diego Della Valle saluta l’acquisto della nuova società nata dal fallimento della Fiorentina. Con il fratello Andrea, futuro presidente, versa 7,5 milioni e, un anno dopo, altri 2,5 per riportare a casa il nome (da Florentia Viola a ACF Fiorentina) e i trofei caduti nelle mani del curatore fallimentare. Un atto d’amore in una città che d’amore si strugge per il suo fiore precipitato in C2. Tutti a San Giovanni Valdarno per l’esordio contro l’ex Ciccio Baiano, che fa pure gol. Pareggia dopo il 90’ Cristiano Masitto che aveva una mano con 3 dita su 5. Subito inferno, ma alla fine arriva il paradiso: promozione e salto doppio in B. Poi di corsa in Serie A passando attraverso lo spareggio vinto sul Perugia: giugno 2004. Si festeggia al mercato: Chiellini, Jorgensen, Maresca, Miccoli, Ujfalusi.
I Della Valle si propongono come paladini dell’altro calcio, solidale e democratico. Lottano per una più equa ridistribuzione dei diritti tv. Ma Calciopoli travolge la diversità. Nonostante i 30 punti di penalizzazione, la Fiorentina di Prandelli si salva grazie ai gol di Luca Toni, 31, oltre il record di Hamrin e Batistuta. Il centravanti è al centro del mercato, ma i Della Valle, con la zavorra di altri 19 punti da scontare (ridotti poi a 15), lo inchiodano alle sue responsabilità. La bella creatura di Prandelli centra uno spettacolare sesto posto che, senza la zavorra, sarebbe stato terzo. Si qualifica per la Coppa Uefa 2007-08 che onora con i gol di Mutu e Vieri arrivando fino alle semifinali, sconfitta soltanto ai rigori dai Rangers di Glasgow. È uno dei periodi più sereni per i fratelli Tod’s. Due quarti posti consecutivi in Serie A e due partecipazioni di fila in Champions League. Esaltante quel 2009-10 con la doppia vittoria sul Liverpool, lo sfregio del Gila ad Anfield e le grandi prestazioni contro il Bayern Monaco, spinto ai quarti dallo sciagurato Ovrebo. Bel gioco, vittorie, notti di gloria: Firenze in amore, finalmente. Poi però scoppia la faida tra Della Valle e Prandelli, accusato di flirtare con la Signora. Nel 2013 arriva Mario Gomez per 21 milioni: mai speso così tanto.
I Della Valle capiscono che, dopo 11 anni, serve una vittoria per riscaldare la relazione con la città che rischia di farsi sterile. Cuadrado, Gomez, Pepito Rossi: tridente da sogno. Nelle prime due di campionato la Fiorentina segna 7 gol e incanta. Ma poi cominciano gli infortuni, a turno. Quasi mai Montella può calare il suo tris d’assi. La finale di Coppa Italia ‘14, giocata senza nessuno dei tre e persa col Napoli, spiega le potenzialità di quella squadra. Fallito il grande azzardo, i Della Valle tornano a badare più ai bilanci che ai sogni. Come lamenta Paulo Sousa: «Faccio l’omelette con le uova che mi danno».
In 17 anni la proprietà ha investito 220 milioni, ma negli ultimi tre mercati nulla: equilibrio entrate-uscite. La forbice con la piazza si apre sempre di più e si richiude solo per la tragedia di Astori, che i Della Valle vivono con sensibilità e generosità apprezzate dal popolo. La salvezza all’ultima giornata ha spezzato il filo. I fratelli Tod’s, proprietà più longeva della storia viola, lasciano dopo 17 anni senza vittorie. Ma non è questa la colpa. Forse l’errore più grande è stato quello di sentirsi sempre al di sopra di ogni giudizio, degni di una gratitudine eterna per il solo fatto di aver soccorso una Viola fallita. Troppo in alto, troppo lontani. Non sono riusciti ad avvicinare il cuore della gente e forse neppure a dotare la società delle migliori competenze. Ma, a loro modo, ci hanno messo amore. E generosità sociale. La bella idea del terzo tempo, l’aiuto a «Save the Children», alla Fondazione Borgonovo, alla famiglia Astori, la Fondazione Fiorentina Onlus. Valori che valgono più di una Coppa Italia. La Fiorentina dei Della Valle, tolto il buco nero di Calciopoli, è stata sempre elegante come i foulard di Diego. Una storia italiana che merita gratitudine e memoria.
Di
Redazione LaViola.it