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Dal Governo: stop alle pubblicità sulle scommesse. Rivolta dei club di Serie A

Preziosi

Il calcio contro i contenuti del decreto ‘dignità’ proposto da Di Maio. Preziosi: “Una mazzata per il sistema, si alimenterebbero i circuiti illegali”.

«È una follia». Non usa mezzi termini Enrico Preziosi. Il presidente del Genoa, come tanti altri suoi colleghi di Serie A, è in agitazione perché il Governo ha in mente di vietare la pubblicità sul gioco d’azzardo e, quindi, di mandare in fumo i contratti di sponsorizzazione tra diverse squadre di calcio e le agenzie di scommesse, uno dei settori strategici dal punto di vista commerciale. Preziosi non riesce a comprenderne la ratio. «Lo scopo è di ridurre la dipendenza? Ma così si alimenterebbero le puntate all’estero, per non parlare dei circuiti illegali. È un provvedimento senza senso e populista, che penalizzerebbe un sistema come quello calcistico che già fatica a stare in piedi. Sarebbe una mazzata e non risolverebbe nemmeno il problema che si vuole affrontare».

Il patron del Genoa cita un precedente, quello delle sigarette. «Voi pensate che la gente abbia smesso di fumare dopo che sui pacchetti sono comparsi quegli slogan sui rischi del fumo? Non è cambiato nulla. Di solito i divieti non fanno che alimentare ancora di più certe pratiche. Sono proprio arrabbiato».

NUMERI. Secondo il ReportCalcio della Figc, in Serie A su un totale di 681 accordi di sponsorizzazione il 2% riguarda il betting. All’estero l’incidenza maggiore si registra in Inghilterra (8%) e Turchia (9%) e nelle dieci top league si contano 23 sponsor di maglia del settore. Al momento in Serie A nessuna squadra ha una società di scommesse come jersey sponsor ma la metà dei club vanta accordi commerciali che vanno dalla cartellonistica allo stadio alle campagne di marketing con i calciatori. Per un club medio si tratta di contratti che oscillano tra 500mila e un milione di euro, ovviamente di più per le big.

La Lega sta studiando l’impatto che lo stop alle pubblicità provocherebbe sui bilanci delle società di A. Nel frattempo Preziosi non nasconde l’insofferenza: «Non ci si può svegliare la mattina e fare una cosa del genere. Dietro una norma di questo tipo c’è inconsapevolezza e leggerezza. Non si comprendono gli effetti devastanti che ci sarebbero sul calcio, in cui lavorano migliaia di persone. Noi in passato abbiamo avuto una società di betting come sponsor di maglia, in futuro potremmo riaverla. È un’opportunità commerciale che non può essere negata. Spero che il ministro Salvini si opponga».

Il provvedimento in questione rientra nel cosiddetto «decreto dignità» annunciato alcuni giorni fa dal vicepremier Luigi Di Maio. La lotta alla ludopatia è uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle ma il divieto alla pubblicità del gioco d’azzardo presenta una serie di ostacoli politici e finanziari. La Lega di Salvini, per dire, sembra vederla in maniera diversa. Inoltre l’intero «decreto dignità» deve superare il test delle coperture del ministero dell’Economia che deve fare i conti col nodo delle risorse: sotto la lente d’ingrandimento, oltre all’addio a split payment, spesometro e redditometro, il rischio di riduzione del gettito fiscale che deriverebbe dall’abolizione di spot tv e pubblicità sui giochi.

POLEMICA. Spiega Alessio Butti, deputato di Fratelli d’Italia: «Lo Stato perderebbe miliardi di euro, almeno 8, in termini di imposte e di indotto. I mezzi di comunicazione perderebbero miliardi in termini di pubblicità. Lo sport morirebbe, perché sparirebbero sponsorizzazioni e diritti televisivi. Unico effetto positivo? Un aumento delle scommesse clandestine e del nero. Senza considerare poi la perdita di migliaia di posti di lavoro: ci sono già diverse società di betting che in queste ore stanno dialogando con altri paesi, vedi Malta, per trasferire là le proprie sedi. È a rischio la libertà imprenditoriale del Paese».

Controbatte Davide Zanichelli, parlamentare dei 5 Stelle: «Uno studio ha calcolato che l’azzardo allunga i tempi della crisi economica: con l’espandersi dell’azzardo si sono persi 115.000 posti di lavoro dirottando 20 miliardi di euro dall’economia reale e bruciando 70 milioni di ore di lavoro».

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