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Da Prandelli a Sousa, le strade gemelle dei forzati dell’addio

I Della Valle non sono propensi all’esonero in stile Zamparini, ma i rapporti sono stati spesso conflittuali con gli allenatori (specie a fine ciclo).

Ognuno ci arriva a modo suo. Chi soffrendo, chi provocando, chi sbarrando le porta, chi sorprendendo tutti con un pugno di parole: «Ho già deciso cosa farò, ma lo dirò tra due mesi». Un lampo nel grigio. Pioli Stefano, professione allenatore, quello che «È tanto una brava persona ma…», ha deciso che ogni tanto rompere lo schema ci può stare. Nessuna battuta ironica, nessuna rivendicazione egopatica. Solo un concetto implicito: sono educato, mica bischero. È così che la Fiorentina torna nel suo mondo fatto di complicazioni esistenziali, che sono più o meno le solite. Legami che all’improvviso si spezzano, e ricomincia la solita tiritera, fatta di toto allenatori e scenografici arcobaleni viola purtroppo criptati, però. Così scrive La Repubblica.

IDEE CHIARE. Il fatto è che Pioli ha capito l’andazzo. Nessuna proposta seria di rinnovo, lui nell’occhio del ciclone e una società che spende poco e spesso maluccio. Il tutto in un progetto giovani coi giovani migliori che rischiano di finire sul mercato. Insomma, un mese e mezzo alla semifinale di Coppa Italia e una “quasi” certezza in testa: se esco ci sta che mi mandino via, se vinco la coppa meglio alzarla al cielo e lasciare un bel ricordo.

ADDII. Pioli è solo l’ultimo dei forzati degli addii. Va detto che alla famiglia padrona non piace esonerare gli allenatori. Non è cool e fa troppo Zamparini style. Ma il modo per cambiare si trova sempre. Con Prandelli fu difficile, per ovvie ragioni. Il suo legame con la città era fortissimo. Per cui servì un duro lavoro ai fianchi, un giochino mediatico ben organizzato e una telefonata da casa Juve che allora pareva inevitabile. E così l’intoccabile Prandelli si trovò a passare per traditore. Peccato che gli fosse stato detto apertamente di sentirsi libero. Vecchie storie.

MONTELLA E SOUSA. Dai sogni Champions alle manate di Delio passando per il machismo di Sinisa. Anni bui, stadio semi deserto. Montella il rivoluzionario, tramontò in solitudine. Una battuta venuta male sulla dimensione del calcio fiorentino e quindi un gioco di comunicati con la società che nemmeno le bizze alle elementari. Di Sousa invece restano la metafora della frittata, un primato in classifica che a qualcuno sembrò più uno splafonamento che una ragione per crederci. Poi l’allenatore emussionale comprese che il vento era cambiato, come la dirigenza. Tutto finito con il dramma di un anno da vivere da separati in casa. Quanta malinconia. Ma Pioli sembrava l’uomo giusto. Resta da chiedersi come reagirà una squadra che prende atto del fatto che il suo allenatore se ne andrà. 

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