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Rassegna Stampa

Cucci: “Bernardeschi e Dybala, due ragazzi meravigliosi che ricordano Baggio”

È bello che succeda mentre imperversa il mercato nemico della massima espressione del calcio: il gioco. È bello che in un turbinio di nomi spesso sconosciuti, di talenti spesso fantasiosi, di promesse bufale e azzardate certezze, si apra una finestra sull’unico luogo sacro al gioco, il campo, e torni Fiorentina-Juventus, sfida ormai antica che ha mantenuto i suoi storici veleni fin dal lontano 1982.

Allora furono un gol negato a Graziani in Cagliari -Fiorentina e un rigore concesso ai bianconeri in Catanzaro-Juve (e realizzato da Brady, già ceduto, dunque ricordato come professionista eccellente e leale in un mondo d’imbrogli) a negare il terzo tricolore alla Viola, assegnandolo alla già straricca Signora.

E a poco servì, ai fini di un armistizio, che di lì a poche settimane un “viola” eccellente, Giancarlo Antognoni, si laureasse campione del mondo con una Nazionale ad alto tasso bianconero: il temperamento dei fiorentini, l’albagia degli juventini, il “tradimento” di Baggio e Calciopoli avrebbero conservato e anzi aumentato la febbre di una classica ormai diventata un derby.

E tuttavia il calcio, mistero bello e senza fine, propone oggi una sfida nella sfida di più alto valore sportivo rispetto alle rogne del passato: il duello Bernardeschi-Dybala. Questi ragazzi – ventidue anni il primo, ventitrè il secondo – sono dolci frutti di una stagione arida, negata ai campioni, dopo anni di misconoscenza dei talenti nazionali e di acquisizione di stranieri sopravvalutati, spesso bidoni.

Federico è appena sbocciato, carrarese non anarchico, anzi fantasiosamente ordinato, cresciuto nel vivaio viola, già adolescente da tener d’occhio, ha fatto… il soldato a Crotone donde è tornato a casa pronto per sentirsi dire da Paulo Sousa quel “mi fido di te” ch’è valso la patente di guida; subito dopo, giocate d’alta classe, gol belli e qualificanti (straordinario quello recente al Napoli), il plauso di Robi Baggio, l’eterno ragazzo il cui nome rifiuta aggettivi, e l’orgoglio di Antognoni, l’ultima gloria di Firenze finalmente recuperata.

Paulo Dybala, la Joya della Juve, è il meglio che gli si potesse opporre in questa stagione. Non è semplicemente “straniero” e “extracomunitario”, Paulo, nè vanta (per far carriera) origini italiche, semmai polacche; viene da Laguna Larga, provincia di Cordoba, settemila abitanti e una storia di ottocentesche battaglie degne di un racconto di Hugo Pratt, il riminese creatore di Corto Maltese.

Come tanti ragazzi d’Argentina, terra ricca e meravigliosa impoverita da generali felloni e politicanti inesperti, è arrivato in Italia a cercar fortuna esibendo qualità già riconosciute e presto rivelate a Palermo, là dove, ferendo la memoria di Renzo Barbera, i campioni sbocciano per fiorire altrove. Ecco: questo è calcio. Ci sono due squadre d’eccellenza, la Fidanzata d’Italia – si diceva mezzo secolo fa – e l’Odiamata, ma soprattutto questi ragazzi che rammentano Baggio. È già tanto.

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