“Giustizia mosse il mio alto fattore, fecemi la divina podestate, la somma sapienza e il primo amore”: Uno dei passi più celebri del canto terzo dell’Inferno di Dante, ma anche figura retorica interessante per un martedì all’insegna della giustizia in casa Fiorentina. Prima invocata, richiesta, sbandierata a gran voce, come nel caso di Cognigni. Poi criticata, contestata per una sentenza ancora una volta non ritenuta giusta, come nel caso di Kalinic.
Il tuono, lo squarcio del silenzio del Presidente Esecutivo alle colonne de La Gazzetta dello Sport contro l’operato di Mazzoleni sa di legittima difesa, di normale reazione rispetto a un oggettivo torto subito, ma stona considerando i contesti e i precedenti.
Perché è vero che la Fiorentina è stata danneggiata ogni qual volta ha lottato per traguardi ambiziosi o importanti (come dimenticare l’epilogo di Siena e l’escalation di rigori per il Milan della stagione 2012-2013), ma è altrettanto onesto dire che quando è successo una presa di posizione così forte non c’è mai stata.
Un po’ come lo scorso anno, quando Sousa si lamentava per i calendari, per i controlli antidoping, per tutto ciò che minava la stabilità di un gruppo che lottava per un sogno senza però trovare una grossa cassa di risonanza in società.
Ecco allora che l’accusa relativa alla gara di sabato suona come una volontà di scaricare altrove colpe interne, problemi insoluti, mancanze di una stagione che poteva sì sembrare scritta ma che è scivolata via troppo presto. Troppo riduttivo ridurre sbagli di programmazione e di valutazione ai primi novanta minuti in cui il Franchi è stato violato.
Dalla giustizia richiesta alla giustizia subita, quella relativa a Kalinic. Il giudice ha punito l’espressione ingiuriosa al termine della gara con due giornate di squalifica. Niente Inter, niente Palermo e per l’ennesima volta la sensazione che esistano due pesi e due misure. A seconda delle maglie o dei contesti, ancora una volta. Un po’ come si era vissuto con Zarate, un po’ come successe con Borja Valero, reo di aver “sfiorato” Gervasoni. Un sistema di gestione che applica sì delle norme, ma che resta ancora una volta troppo legato al fragile ma fragoroso equilibrio del potere. Potere da combattere, magari frequentando la Lega, potere da limare, magari sedendosi da attori veri ai tavoli delle big della Serie A.
In tutto questo clima da Law and Order, la settimana si concluderà contro l’Inter: banco di prova per capire se la cera è definitivamente spenta o se, invece, ancora un piccolo barlume può rimanere. Quell’Inter ridimensionata, proprio come la Fiorentina, da due settimane in tono minore. Da una stagione partita con altri proclami e esaurita presto nei rimpianti del potevo fare.
Un’Inter in cui la caccia a Pioli prosegue, magari con toni minori rispetto alla caccia a Sousa. E per la strana legge del calcio Pioli continua a essere uno dei più quotati per il dopo tecnico portoghese. Leggermente dietro Di Francesco, ma comunque ancora ampiamente in corsa. Profilo istituzionale, bravo a lavorare con la rosa a disposizione, conoscitore dell’ambiente Fiorentina. Un identikit ideale, in pratica.
Di
Duccio Mazzoni