Vi proponiamo in forma integrale il ricordo di Alberto Polverosi dedicato ad Alessandro Rialti, scomparso domenica sera all’età di 69 anni. Oggi il suo Corriere dello Sport-Stadio propone due pagine a lui dedicate
Tre stanze al 26 di via Carnesecchi. In quella che dava sul corridoio c’ero io, in quella di mezzo Sandro Rialti con Sandro Mita, in quella in fondo Sandro Bartoli. Ci chiamavamo alzando un pochino la voce, ma quando toccava a me c’era l’eco di ritorno. Io facevo: Sandrooo. E loro tre, tutti insieme: oh, oh, oh. Così decidemmo che era arrivato il momento di dare dei soprannomi. Mita, che correva da una parte all’altra come una scheggia, diventò Mitraglia o Mitraglietta perché all’epoca (siamo a fine anni Ottanta) era secchino; Bartoli, che era arrivato per ultimo in quella redazione, divenne Tris, il terzo in ordine cronologico; Rialti, lui se lo scelse quasi da solo e per tutti, ma proprio tutti, diventò Ciccio.
Ma la storia di Sandro al Corriere dello Sport-Stadio (più Stadio che Corriere dello Sport) era iniziata molti anni prima, nella redazione di via Condotta. Era arrivato insieme a Luca Frati alcuni mesi prima di me. Era l’anno 1977. Il capo era Roberto Gamucci. Allora il giornale pagava come stipendi ai due collaboratori 50.000 lire a testa, cifra lorda, totale 100.000 lire. Quando arrivai io, l’oculata amministrazione di piazza Indipendenza prese una decisione appunto…oculata: 100.000 lire non più divise in due, ma in tre, vale a dire 35.000 lire a ciascuno. Non avevo ancora messo piede al Corriere dello Sport-Stadio che già gli avevo soffiato 15.000 lire.
Siamo stati insieme dal novembre del ‘77 e non abbiamo mai smesso di divertirci, di prenderci in giro e di prendere in giro. Non era la strada che contava, ma il marciapiede. Se mi avessero chiesto un giorno dov’era nato Sandro avrei detto proprio così, sul marciapiede, l’unico posto nobile che dovrebbe conoscere e frequentare chi fa questo mestiere. Perché tutto nasce da lì, tutto passa da lì. E Sandro lo sapeva meglio di chiunque altro. Aveva una qualità innata: il rapporto con allenatori, giocatori e dirigenti era immediato. Ne riconoscevano la qualità professionale e soprattutto il tratto umano. La sua forza era un’empatia mai cercata, ma sempre spontanea. Una volta, a Barcellona, alla vigilia della semifinale di Coppa delle Coppe, accadde questo. Durante la conferenza stampa Claudio Ranieri non volle dire in nessun modo chi sarebbe stato il difensore che avrebbe marcato Figo. Alla fine, mi girai verso Sandro e gli dissi: «E ora chi ce lo dice?».
E lui: «Non ti preoccupare, vieni con me». Mentre Ranieri stava uscendo dalla sala, gli andò dietro e io dietro a lui. Per arrivare dalla sala della conferenza all’ala principale dell’albergo si doveva passare ai bordi di una piscina e lì Sandro bloccò l’allenatore. «Claudio, mi dici chi marca Figo?». «No, non te lo dico». «Tu me lo dici». «No, che non telo dico». «Claudio, non farmi arrabbiare». Io assistevo alla scenetta e secondo me Ranieri si stava divertendo col suo grande amico Ciccio, quando d’improvviso Sandro gli strinse le mani al collo. Ranieri continuava a ridere, ma non sapeva più se era solo uno scherzo, e la piscina era lì, a un passo. Nel dubbio, parlò: «Lo marca Pusceddu».
Sandro mollò la presa, forse per lo stupore. «Pusceddu?». «Sì, ciao». Anche quella volta, la notizia era sua.
Le baruffe con Nardino Previdi sul mercato della Fiorentina erano all’ordine del giorno, lo stesso succedeva con Cinquini, con Luciano Luna, con Casasco, con Corvino, con Pradé e con l’altra dozzina di direttori sportivi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e lavorare con lui. Ha amato la Fiorentina, ma prima dei viola e più dei viola haamato la Rondinella, quella di Pino Vitale. Faceva parte di una generazione fantastica di giornalisti fiorentini, lui, Mario Sconcerti, Massimo Sandrelli, Manuela Righini, Sandro Picchi. Magari qualcuno non se n’è accorto, ma Sandro era l’unico in tutta Firenze a scrivere, ad ogni conferenza stampa al “Franchi”, che si era svolta nella sala intitolata a Manuela Righini. Sono stati dei maestri per molte generazioni, ma mentre gli altri avevano un metodo a cui potersi rifare o quanto meno ispirare, Sandro no. Il suo metodo era solo suo, nasceva da un istinto fortissimo e quindi impossibile da assorbire.
In questo giornale non c’è stato direttore che sia rimasto insensibile al suo modo di lavorare. Da Tosatti che conobbe il primo Rialti a Zazzaroni, passando da Cucci che lo voleva assumere ma figuriamoci se lui lasciava Firenze, a Sconcerti che lo chiamava per avere il suo “seminario” quotidiano sulla Fiorentina. Vorrei chiedergli il permesso di scrivere come soprannominava direttori e colleghi, li beccava tutti, quella di piazzare i nomignoli era un’arte per lui.
La redazione di via Carnesecchi è stata per anni la sede alternativa della curva Fiesole. I’Passa, i’Turco, i’Pizza, Massimino i’poeta, Marzio, Alessio, i’Papucci, i’Tanturli, tutti intorno a Ciccio per stabilire una strategia, per avere un consiglio sullo striscione. È stato Sandro a farmi amare quella stupenda, generosa, impaziente umanità. Quando morì mia madre, furono i ragazzi del Collettivo Autonomo della Fiesole a portare la prima corona di fiori. Una cosa come questa non si può mai dimenticare.
Ora che mi resta di lui? La rabbia per avermi fottuto con questo saluto rapido come fosse un’altra presa in giro, un senso di solitudine che non mi lascerà fino alla fine dei miei giorni, un dolore sempre acceso.
No, non mi resterà tutto questo, ma l’allegria dei nostri giorni insieme, le sue telefonate, i suoi racconti, le sue notizie, il suo contagioso entusiasmo. Che fortuna ho avuto a stare quarant’anni con Ciccio. «Claudio, dimmi chi marca Figo».

Di
Redazione LaViola.it