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Chiesa jr, l’antidivo: “Felice senza tatuaggi e macchine di lusso”
Federico Chiesa, diciannove anni, stretta di mano potente e un sorriso largo così. Lui viene al campo accompagnato dal padre, oppure a piedi. «No, a me sul Cayenne non mi vedrete mai. Magari un giorno su una piccola Audi, quando avrò finalmente la patente».
Sì, ma partiamo dall’inizio della storia. Il babbo Enrico lavora col pallone e segna valanghe di gol. Il piccolo Fede quando scopre che quella cosa gli piace da matti?
«Ho rivisto le foto di quando avevo due anni e in una piazza di Parma inseguivo i piccioni prendendo a calci una palla. Ecco, credo che la mia storia di calciatore sia iniziata lì».
Poi un giorno, a Torino, Paulo Sousa la chiama e…
«E un’ora e mezzo prima della partita con la Juventus mi dice: Federico, giochi tu, devi sostituire Borja Valero. Sono sbiancato».
Qualche mese dopo arriva il gol in Europa League. Il primo…
«Ero impazzito. Correvo e correvo e non sapevo chi abbracciare. Avrei voluto abbracciare tutti, anche i tifosi viola venuti fin lì».
E allora una corsa verso la panchina: prima Lezzerini, poi Sousa.
«Lezze è un amico vero. Sousa mi ha dato fiducia. Era un modo per dirgli: grazie».
E a casa?
«Ho chiamato. Mia madre era talmente emozionata che non riusciva a parlare. Mio padre mi ha detto: bravo. Loro erano felici per me, io per loro, che mi hanno dato la possibilità di provare a diventare un calciatore dandomi gli strumenti per costruirmi un’alternativa. Per questo ho studiato alla scuola americana. Per imparare le lingue, per provare a vivere open mind. Poi l’università».
Scienze motorie, giusto?
«Sì, ma ora voglio cambiare facoltà».
Cioè?
«Sto pensando di iscrivermi a chimica».
Un bell’impegno.
«Amo le scienze. Dalle molecole all’universo. Se non avessi fatto il calciatore avrei voluto fare il fisico. Ma mettermi ora a studiare fisica forse è troppo impegnativo».
Torniano al campo. Ma quello delle Settignanese, dove il piccolo Federico si è trovato davanti un allenatore chiamato Kurt Hamrin.
«Come ci divertivamo a correre nel fango. Tornavo a casa sempre pieno di terra, e mia mamma si arrabbiava. Ero un bambino felice, e quando mio padre mi raccontò chi era quel signore io iniziai a sognare di diventare come lui».
Beh, il ruolo almeno è più o meno quello.
«Ma io devo ancora dimostrare tutto. Mio padre una volta mi ha detto: diventerai un giocatore di Serie A quando avrai fatto almeno trecento presenze».
Duro ma giusto. Il suo mito sul campo?
«Di Maria: corsa, tecnica, fantasia».
Chiesa, torniamo alle sorprese: lei ora contende il posto a Tello, che ha giocato nel Barcellona. Se lo sarebbe mai aspettato?
«Ma siamo matti? Quando ho conosciuto Tello la prima cosa che ho pensato è stata: oddio, fino a un mese fa ci giocavo a Fifa alla Play station. Lo avevo sempre in formazione ed era velocissimo. Un po’ come quando mi trovai contro Dani Alves. Avevo comprato anche lui a Fifa».
Ha tatuaggi?
«No, nemmeno uno. Il calcio oggi è anche molta immagine. Ma a me importa poco».
A Genova è andata male.
«Partita strana. Dobbiamo dimenticarla subito. Stiamo crescendo, ne siamo tutti convinti».
Il compagno che più l’ha aiutata a entrare nel gruppo.
«Lezzerini. Poi Bernardeschi, un esempio per noi venuti dalla Primavera. E Astori, uno che se lo guardi impari un sacco di cose: si impegna sempre al massimo».
Quello che lo ha stupito di più?
«Come tocca la palla Borja Valero non la tocca nessuno».
Lei è cresciuto a Firenze, quindi la città la conosce. Tanta passione, e una voglia matta di stupire il mondo.
«Sì, è un sentimento forte e puro. Per questo daremo il massimo per provare a vincere un trofeo, magari l’Europa League. E poi vogliamo arrivare in Champions».
I gol di babbo Enrico se li è studiati?
«Eh sì, li ho visti quasi tutti. Pochi dal vivo, ma tanti su You Tube».
Quel bambino che inseguiva i piccioni in piazza oggi è un calciatore di serie A. E poi?
«Poi è un ragazzo che ogni volta che arriva al campo si emoziona. Per me è una grande fortuna giocare nella Fiorentina. E avere dei genitori che mi hanno dato le istruzioni per non perdermi in un mondo luccicante ma pieno di insidie».