La ‘profezia’ di Sousa nell’estate 2016, l’esordio con la Juve e la destinazione bianconera. Dopo oltre un anno Federico realizza la sua volontà
Quando un ‘figlio di Firenze’ finisce alla Juve raramente la storia può prevedere un lieto fine. Aveva 10 anni quando Federico Chiesa, nato a Genova, passava dalla Settignanese alle giovanili della Fiorentina. Del resto, Federico è praticamente cresciuto in riva all’Arno, visto che nei suoi primi anni di vita babbo Enrico segnava a raffica nella Fiorentina per poi chiudere la carriera sempre in zona, tra Siena e Figline. E il ‘piccolo Fede’, già da bambino, pensava a poter segnare in maglia viola.
LA ‘PROFEZIA’ (A META’) DI SOUSA. Gli anni nel settore giovanile, un ruolo non da fuoriclasse in Primavera e l’intuizione di Paulo Sousa: subito titolare contro la Juve dopo essere rimasto ‘stregato’ nel ritiro di Moena. Già, dalla Juve alla Juve: un cerchio che era destinato a chiudersi ormai da tempo. Era il 20 agosto 2016 quando a 18 anni Chiesa esordiva in viola allo Juventus Stadium, quattro anni più tardi coronerà il suo sogno di giocarci con la maglia bianconera addosso. Sembrò, allora, una provocazione del tecnico portoghese, una delle tanti frizioni con l’allora proprietà e dirigenza. Invece, il suo “Federico diventerà capitano della Fiorentina” è diventata alla fine una sorta di ‘profezia’. Un po’ meno, invece, l’aggiunta sul “secondo me diventerà una bandiera”.
ALLA JUVE. Del resto, che non sarebbe rimasto a vita alla Fiorentina si era capito già da almeno un anno, visto che l’estate scorsa era tutto apparecchiato per portarlo a Torino. L’arrivo di Commisso aveva prima fatto scomparire il sorriso dal volto di un ragazzo frenato nelle sue ambizioni personali (con quell’immediato “non sarà il mio Baggio“), e poi man mano riaperto la speranza di poter continuare insieme almeno per un anno. Con l’inizio della nuova stagione, però, si era capito che di rinnovo non se ne sarebbe parlato, e che Commisso avrebbe tenuto fede alla promessa di lasciarlo partire. “Alle giuste condizioni”, ha sempre ripetuto Rocco. E questo è un punto che sta facendo imbufalire il popolo viola.
LE CONDIZIONI. Perché alla richiesta di 70 milioni di qualche mese fa, pur rimodulata per la crisi economica generale, si è arrivati alla chiusura con la complessa formula di un maxi prestito biennale (2 milioni subito, 8 il prossimo anno) con riscatto (da 40 milioni) che diventa obbligatorio in caso di raggiungimento di almeno una di tre facili condizioni. Si discute anche sui bonus, e alla fine nelle casse viola potrebbe comunque arrivare una cifra vicina ai 60 milioni. Ma non certo subito, bensì con pagamenti dilazionati. Insomma, l’impressione è che alla fine ci si sia piegati alle condizioni della Juve per far andare in porto un’operazione che in fondo non poteva non essere fatta. Forse. Anche la beffa del rinnovo ‘di facciata’ alle cifre ‘da Juve’ (5 milioni), per rendere tecnicamente fattibile l’operazione, sta facendo molto discutere.
STRASCICHI. Magari, nella classica conferenza post-mercato, verrà spiegata con chiarezza la situazione. E magari, chissà, questi soldi provenienti da una cessione comunque dolorosa, potranno servire a rendere più forte la Fiorentina. La speranza è quella. Ma resta comunque un’operazione che può portare strascichi anche nel rapporto tra la tifoseria e la società. Non tanto per il passaggio di Chiesa alla Juve che in tanti avevano preso con rassegnazione, quanto per le modalità. E per essere arrivati all’ultimo giorno di mercato, facendo di conseguenza tutto in fretta in entrata.
CAPITANO. Con lo ‘smacco’ della fascia di capitano contro la Samp ad aver allargato la ferita. Una scelta che sarebbe stata di Iachini e della squadra, non del tutto condivisa dalla dirigenza stessa, che ha fatto parecchio discutere. Con i tifosi che hanno ‘suggerito’ caldamente di non indossare almeno la fascia di Astori. Perché, in fondo, già si sapeva prima di venerdì come sarebbe andata a finire la faccenda. Un altro strappo doloroso, simile a quello con Bernardeschi: stessa crescita esponenziale in viola, stessa voglia di compiere un salto andando nella squadra da sempre ‘nemica’ di Firenze. Diverse però le modalità: Bernardeschi spese parole d’amore per la Fiorentina fino a poche settimane dal suo addio, fino al certificato medico per forzare il passaggio alla Juve. Chiesa invece, da quando ormai aveva chiara in testa l’idea di andare a Torino, almeno non si è speso in ipocrisie, mettendoci sì un po’ a tornare sul ‘pianeta viola’ (ricordate la prima metà della scorsa stagione?) ma poi dando una mano alla Fiorentina e celandosi dietro al silenzio sul suo futuro.
‘FIGLIO DI FIRENZE’. Non sarà certo un addio in stile Baggio (altri tempi, altre situazioni, altro giocatore), ma senz’altro il passaggio di Chiesa alla Juve fa discutere parecchio. Come a suo tempo lo stesso Bernardeschi, ma anche Neto passato a zero in bianconero. Mentre il trasferimento di Felipe Melo fu accolto al contrario in maniera positiva, vista la maxi cifra spesa da quella Juventus. Un “figlio di Firenze”, si definiva lo stesso Chiesa tre anni fa. Erano gli anni del grande amore, del grande exploit, del “sogno” di giocare in maglia viola (“è la mia seconda pelle”) e di “diventare capitano“. Erano le parole di un ragazzo che si affermava nel grande calcio grazie alla squadra dove aveva sempre giocato, nella città dove era cresciuto. A Firenze ha trovato l’amore, la gloria (intesa come fama calcistica) e la Nazionale.
QUEL ‘VORREI MA NON POSSO’. Da quel 20 agosto 2016, 153 partite, 34 gol e 25 assist. Il primo gol in Europa League, poi quello a Verona contro il Chievo, la tripletta con la Roma in Coppa Italia e quella con il Bologna di luglio. Le prime accelerazioni a testa bassa a superare chiunque che facevano sognare, l’egoismo di chi prova anche a strafare per aiutare la squadra e mettersi in mostra nell’ultima stagione. Nel mezzo il dramma di Astori, vissuto da vicino da un ragazzo che come gli altri aveva trovato un vero Capitano e una guida. E quella fascia in onore di Davide non indossata nella sua ultima in viola. Oggi Chiesa saluta ufficialmente la Fiorentina e Firenze. Con quel palo contro la Samp simbolo perfetto del “vorrei ma non posso”. Poteva essere una bandiera, non lo è stato. Poteva trasferirsi altrove, ma non lo ha fatto. Poteva far crescere la Fiorentina con le sue qualità e il suo grande talento, ma in fin dei conti chi lo vedeva sfrecciare due anni fa si aspettava forse di più. Ora va finalmente alla Juve, dove proverà a ritagliarsi spazio come chi prima di lui (Bernardeschi) non ha saputo fare. “Qui non siamo alla Fiorentina”, urlava all’ex 10 viola (che in bianconero chiese lo stesso numero) Allegri. Da un Federico all’altro, tre anni dopo. In attesa delle sue prime parole da bianconero, forse non si meraviglierà se la prima accoglienza nel prossimo Fiorentina-Juve del 23 dicembre non sarà fatta di soli applausi.
Di
Marco Pecorini