È probabile che «la meglio gioventù», calcisticamente parlando, per il momento ancora non abbia piantato radici alle nostre latitudini. Così scrive La Gazzetta dello Sport. Invasione di stranieri (spesso mediocri), deficit di conoscenze tecniche e pura e semplice mancanza di fiducia, infatti, dall’inizio del Terzo Millennio sembrano aver reso i nostri giocatori più bamboccioni che campioni. Ma adesso che si è toccato il fondo di un Mondiale visto da spettatori, forse è davvero il caso di cominciare a correre dei rischi, aprendo la strada a una nuova generazione azzurra che sia la vetrina del rinnovamento. Intendiamoci: chiunque sarà, siamo convinti che il nuovo c.t. non vorrà cominciare alcuna guerra generazionale, anche perché dell’esperienza di capitan Bonucci – tanto per fare un nome – ci sarà senz’altro bisogno.
Ed è per questo, forse, che torniamo a casa col rimpianto di aver visto Gagliardini, Cristante e Cutrone in dosi omeopatiche, mentre Verdi neppure così. Magari qualcuno da Gigi Di Biagio si aspettava un pizzico di coraggio in più in questo senso, in ogni caso la notte di Wembley ha raccontato che, a prescindere dal pareggio (meritato) contro l’Inghilterra, l’Italia necessita subito di freschezza. Non è un caso che – ognuno a suo modo – Gigio Donnarumma, Lorenzo Pellegrini e Federico Chiesa abbiano rappresentato piccole grandi svolte, che pure non costringono necessariamente a rompere i ponti col passato. Davanti agli 83.000 di Wembley, ad esempio, il 19enne portiere non ha tremato. «Buffon resta sempre il più forte – ha spiegato con modestia – e infatti mi dà tanti consigli anche in allenamento».
Se Donnarumma ha sofferto forse meno del previsto, in certi momenti ad andare in apnea è stato invece il centrocampo azzurro, dove i «vecchi» (si fa per dire) Parolo e Jorginho hanno patito più di Lorenzo Pellegrini, 21 anni, protagonista di qualche giocata assai disinvolta. «Penso che ogni giovane debba avere quella sfrontatezza che serve: in squadra l’esperienza ce l’hanno gli altri. Noi dobbiamo portare brio e spensieratezza. In ogni caso abbiamo pareggiato a Wembley». Analisi politicamente corretta, che però non fa dimenticare la scossa che l’Italia ha avuto ad esempio con l’ingresso, al posto di uno spento Candreva, di Federico Chiesa, 20 anni, che si è procurato il rigore decisivo. «Non so chi sarà il futuro c.t. – ha detto – però io sono e sarò a disposizione di qualunque allenatore, anche se voglio ringraziare Di Biagio per la convocazione e la fiducia che mi ha sempre dato. Sia nell’Under 21 che adesso è stato veramente importante per la mia crescita. Contro l’Inghilterra mi ha chiesto di giocare largo, puntare l’uomo e vivacizzare l’azione. Io perciò sono entrato in campo determinato a provarci, perché era importante fare risultato dopo il k.o., secondo me immeritato, contro l’Argentina».
Ma se il rottamare in maniera ideologica è sbagliato, in vista dell’Europeo 2020 correre dei rischi aprendo le porte ai giovani sembra essere l’unica strada ragionevole. L’unico modo per illuminare un azzurro tenebra.
Di
Redazione LaViola.it