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Castrovilli: “Non mi rovino la reputazione per quattro soldi. Mia madre non parla, piange”

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Il talento pugliese della Fiorentina si racconta a cuore aperto. Le origini, il rapporto con la famiglia ed un’umiltà che non vuole perdere

Lunga e bella intervista di Gaetano Castrovilli a Sport Week. Il talento della Fiorentina si racconta, dagli esordi al clamore attuale. Ecco alcuni passaggi significativi: “Devo ancora realizzare. Per dire: faccio il mio primo gol al Milan, la squadra per cui tifavo da bambino. Il giorno dopo avevo già dimenticato. Forse è proprio questa la mia forza. Non so se sia spensieratezza o incoscienza. Non riesco neanche a capire. Però questa cosa mi aiuta tanto, perciò quando mi guardo allo specchio vedo ancora il ragazzo che ero prima“.

E che ragazzo eri, prima?
“Umile, sorridente e disponibile”.

Non c’è pericolo che il grande calcio ti cambi?
No. Vengo dalla strada e non intendo rovinarmi la reputazione per quattro soldi in più. Provengo da una famiglia di lavoratori, gente semplice che mi ha insegnato a tenere i piedi per terra sempre, anche se la ruota inizia girare veloce e per il verso giusto. Vuole dire anche che sono nato a Canosa di Puglia, perché lì c’è l’ospedale, ma sono cresciuto a Minervino, diecimila abitanti scarsi. Un piccolo mondo dai confini delineati, dove la vita scorre semplice e lenta“.

Cosa significa essere figlio di un falegname?
“Significa imparare a fare i sacrifici ed a riconoscerne l’importanza”.

E mamma cosa dice?
“Non parla piange. Guarda le partite in televisione, ripensa ai sacrifici che tutti insieme abbiamo fatto affinché io diventassi un calciatore. E piange”.

Le hanno mai detto: Gaetano, lascia perdere con il calcio…
Per come sono fatti non lo hanno mai detto e mai lo avrebbero fatto. Sono persone orgogliose e pur di far stare tranquillo un figlio e permettergli di raggiungere i suoi obiettivi sono disposti a rompersi la schiena. Piuttosto fui io che a 12 anni volevo smettere perché mi faceva male vedere quanta fatica facessero i miei, in tutti sensi, per consentirmi di giocare nel Bari. Fu proprio zio Nimbo a convincermi a non mollare“.

Cosa le basta per essere felice?
Un piccolo gesto, un pensiero. Anche perché sono uno che preferisce dare piuttosto che ricevere. Parlo di affetto, che non sono bravo ad esprimere a parole, ma preferisco far capire. A mia madre e a mio padre non ho mai detto “vi voglio bene“, ma glielo dimostro“.

E come ci riesce?
Sfottendoli. Ogni volta che li prendo in giro capiscono quanto affetto provi per loro. Esprimo i miei sentimenti sempre in una maniera concreta. A luglio di un anno fa papà era ricoverato in ospedale. Il giorno prima che uscisse gli presi un cane, un bulldog francese che abbiamo chiamato Pisellino. Per fargli una sorpresa gli dissi che non sarei potuto passare a salutarlo perché dovevo rientrare a Cremona, dove giocavo allora. Si incazzò veramente: “Ma come, io torno a casa e tu non ti fai trovare?“. Fatto sta che la mattina dopo aprì la porta e mi trovò ad aspettarlo con Pisellino in braccio”.

Le parole di Antognoni?
Mi sono scivolate addosso. Antognoni è Firenze. Lo ringrazio, apprezzo, però finisce qui. Ci siamo parlati un sacco di volte, ma è più forte di me. Ascolto un complimento e me ne scordo“.

Il ruolo dove si schiererebbe?
Dove gioco adesso, da mezzala. Attacco e difendo ed ho la porta avversaria davanti e non alle spalle“.

Montella si è convinto in due giorni a Moena…
“Boh, forse perché ero uno dei pochi già arrivati in squadra”.

 

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