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Cannavaro: “La Cina riparte dopo il Coronavirus, anche noi si può fare. In Italia…”

L’ex difensore della Nazionale è tornato in Cina, a Guangzhou. Controlli, quarantena, il messaggio al mondo e all’Italia…

Dal suo residence di Guangzhou, Fabio Cannavaro urla al mondo intero il suo ottimismo, attraverso La Gazzetta dello Sport: «Si riparte! Si può fare, qui in Cina ci stanno riuscendo, si va verso la normalità. Ed è il messaggio che deve arrivare al mondo intero. Perché il coronavirus non risparmia nessuno in ogni angolo del pianeta, ma si può battere unendo le forze. Agendo da comunità».

RITORNO IN CINA. Venerdì è tornato in Cina. «Appena arrivato mi hanno sottoposto a tampone, per me è stato il terzo, e misurato la temperatura. Poi ho dovuto firmare un modulo in cui ho dichiarato dove fossi stato nell’ultimo mese e se avessi frequentato persone contagiate. A quel punto, come capita di fatto a tutti coloro che entrano nel Paese dall’estero, almeno quelli che provengono da luoghi già colpiti dal virus, vieni messo in quarantena per due settimane. Se hai un posto dove stare bene, altrimenti ti ospitano in alberghi attrezzati per garantire l’isolamento».

SITUAZIONE. «Non ci manca nulla. C’è un servizio apposito da chiamare per avere a casa cibo e quello che può servirti di generi di prima necessità. Garantito con tutte le precauzioni previste dal protocollo, senza alcun contatto con l’esterno. Questo è quello che accade a tutti coloro che vengono oggi in Cina. Sono servizi organizzati dallo stato. Qui il virus lo hanno debellato, ma conoscendolo meglio di tutti hanno fatto esperienza sugli accorgimenti per evitare che ora rientri dall’estero. Perché oggi l’epicentro della pandemia è in Europa, non più qui».

MESSAGGIO. Ora la Cina va verso la normalità: «Già e questo deve essere il messaggio positivo per noi italiani e per il resto del mondo. Si può debellare questo male ma serve severità e una grande organizzazione».

FASE CRITICA«Quando io sono arrivato qui a fine gennaio, appena esplosa l’epidemia a Wuhan, subito tutto è stato organizzato alla perfezione. Io dormivo allora nel nostro nuovo centro sportivo, ma a volte dovevo spostarmi per passare da casa: appena uscito dal centro trovavo il primo controllo della temperatura. Poi imboccavo in macchina la tangenziale e altro controllo della temperatura, sull’autostrada non si pagavano pedaggi per evitare contatti col personale ai caselli. All’uscita, altro controllo. Poi arrivavo a casa e nel mio condominio trovavo degli addetti con degli scafandri che mi rimisuravano la temperatura. E tornando indietro stessi controlli. Badate bene che parlo di Guangzhou, l’antica Canton, con venti milioni di abitanti e al tempo stesso lontana mille chilometri dalla regione del focolaio. E infatti da queste parti si sono registrati pochi casi. Quaranta giorni dopo, al mio ritorno, la vita è tornata a scorrere normale qui. La gente passeggia e sta nei locali serenamente».

MODELLO CINESE DA REPLICARE. «Sicuro. Non era facile affrontare un mostro del genere, perché non c’erano precedenti. È prevalso il senso della comunità, i valori fondamentali della vita. A costo di sacrifici. La lezione è chiara al mondo. Ancora in molti non l’hanno capito. In Italia l’abbiamo recepita meglio di tutti. Siamo sulla strada giusta. Il comportamento della maggioranza è positivo. Anche se ancora qualcuno fa fatica a capire».

SACRIFICI. «Dobbiamo capire però che servono, serviranno, purtroppo, tanti posti di terapia intensiva. E se con i comportamenti non stiamo attenti, rischiamo un domani di costringere i nostri medici in prima linea – cui va il nostro grazie insieme a tutto il personale sanitario – a dover scegliere chi salvare. Questo dobbiamo averlo ben chiaro per evitarlo, ragazzi».

IN ITALIA. Preoccupato per la situazione in Italia? «Ancora sì, perché non si è raggiunto il picco e bisogna resistere e restare concentrati in ogni gesto. Penso all’errore del passato fine settimana, quando migliaia di persone sono scappate dalla Lombardia verso Sud. Io non voglio condannare nessuno, capisco chi voleva tornare dai propri cari, ma è stato un evidente errore. Ora bisognerà aspettare ancora un’altra settimana per capire quante persone nel meridione sono state infettate, e vedere di restare con i nervi saldi finché passerà anche quel picco. Del resto uno dei pochi errori fatti in Cina, quando ancora non si era capito la velocità di propagazione della malattia, è stato quello di far uscire troppa gente da Wuhan. Ecco impariamo da quelle esperienze. Ma ripeto: sono orgoglioso di come si sta comportando l’Italia».

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