C’è tempo fino alle 23.59, ma il presidente non ha intenzione di rispettare le scadenze economiche necessarie per l’iscrizione a un campionato professionistico
Massimo Cellino ha deciso di staccare la spina. Il Brescia finisce così, oggi, dopo 114 anni. Salvo dietrofront al momento improbabili il suo presidente non pagherà gli stipendi, non rispetterà la scadenza odierna del pagamento degli emolumenti ai dipendenti e dei relativi contributi necessaria per l’iscrizione al prossimo campionato (da perfezionare poi il 24 giugno con una fideiussione). Servivano 3 milioni di euro, parte di un debito da 9 milioni che l’Agenzia delle Entrate aveva concesso di rateizzare. Ma Cellino, ormai disilluso e senza acquirenti credibili all’orizzonte, ha scelto di chiudere i rubinetti.
Il gruppo americano interessato non ha anticipato le somme necessarie, e il rapporto tra il presidente e la città è da tempo deteriorato. Lo scenario di un salvataggio appare improbabile, anche perché Stefano Midolo, unico consigliere abilitato a firmare per il club, ha rassegnato le dimissioni via PEC. Salvo miracoli, Brescia esce oggi dal calcio che conta.
Un epilogo amaro per una società con 114 anni di storia. Cellino, arrivato nel 2017, si era presentato con parole dure: “Qui vi siete abituati alla mediocrità“. Ma dopo un’unica promozione nel 2019, il bilancio è negativo: due retrocessioni in Serie C, l’ultima arrivata con una penalizzazione per irregolarità nei pagamenti.
Il paradosso finale? Il ricorso del club alla Corte d’Appello Federale previsto per il 10 giugno: un’istanza presentata da una società ormai estromessa dal sistema. La città, che vive lo sport ad alti livelli con An Brescia nella pallanuoto e Germani in finale scudetto nel basket, si ritrova ora orfana del calcio, nonostante una salvezza conquistata sul campo. Il futuro? Tutto da riscrivere, da zero.
Di
Redazione LaViola.it