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Boateng sul razzismo: “Non è cambiato nulla, creo io una task force. Siamo soli”

Il ghanese parla del razzismo: “Bisognerebbe squalificare il campo, o dare partita persa a tavolino. Le cicatrici non si cancellano con i soldi”.

Intervista al Corriere della Sera per Kevin-Prince Boateng, che parla di campo e razzismo. Ecco alcune sue parole: «A Verona un settore chiuso per razzismo? Non mi basta che dopo gli insulti a Balotelli venga impedito l’accesso a una parte di tifosi. Io spero sempre in comportamenti positivi e mi auguro che il pubblico qualcosa abbia imparato e non replichi più certi atteggiamenti».

EPISODIO. Gennaio 2013, le immagini del pallone da lei calciato verso la curva della Pro Patria fanno il giro del mondo. Cosa è cambiato nel frattempo? «Nulla, la situazione è peggiorata. All’epoca giocavamo un’amichevole, ora un comportamento del genere si dovrebbe ripetere se necessario in una gara di campionato. Rispetto ad allora girano ancora più soldi e sempre più bambini ci osservano. Occorrono misure più drastiche».

IDEE. «La squalifica del campo. Le società devono pagare per il comportamento dei loro tifosi. Oppure, se necessario assegnare la sconfitta a tavolino. E poi negli stadi si dovrebbero installare più telecamere per individuare chi compie certi gesti. In ogni caso noi giocatori dovremmo garantire maggiore tranquillità all’arbitro affinché anche davanti alla pressione del pubblico in certi frangenti abbia la forza di dire “non si gioca più”».

TASK FORCE. Lei addirittura fu invitato all’Onu per tenere un discorso sul razzismo. «Un giorno importante per la mia vita. Ma dopo di allora concretamente cosa è stato fatto per combattere il fenomeno? Una task force, riassunta in una serie di riunioni e idee. Non basta la campagna ‘No to racism’ in Champions». Cosa suggerisce? «Nel 2020 ci penso io. Sto organizzando una task force mia con eventi, coinvolgendo altri calciatori. Sono stufo, la gente non capisce come si sentono Balotelli, Boateng o Koulibaly quando tornano a casa. Noi siamo soli. Divento pazzo quando sento commenti del tipo “tanto guadagni 5 milioni”, addosso restano cicatrici che non si possono cancellare».

ITALIA. Il nostro Paese è razzista? «Nel quotidiano il fenomeno è nascosto. È più semplice farsi scudo dietro venti persone allo stadio o scrivermi sui social “negro di m…” perché ho sbagliato un gol. Troppo facile offendere dietro un cellulare. Spesso poi le offese sono frutto solo di ignoranza, per questo auspico che vengano introdotte a scuola più ore di educazione civica per combattere ogni forma di discriminazione».

INCONTRO. L’incontro che le ha cambiato la vita? «Mandela, nel 2010, a casa sua. Era attorniato da un’aura di serenità e nonostante avesse passato 27 anni in galera non era nemmeno arrabbiato, insomma non voleva ammazzare tutto il mondo. Chi lo aveva imprigionato non aveva l’intelligenza di capire cosa stava facendo, mi disse».

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