Prendendo spunto dalla compagnia di Gesù, alla quale molti giovani sognavano di unirsi nel Cinquecento, Ludwigzaller ci racconta la vocazione palesatasi nella sua famiglia
Per quanto a distanza di secoli possa apparirci strano, nel Cinquecento un sogno giovanile diffuso era quello di entrare nella compagnia di Gesù, possibilmente come missionario, e subire il martirio in qualche remota terra orientale o nell’Inghilterra dei Tudor. Era una prospettiva in cui si combinavano amore per l’avventura e una potente fede religiosa.
La compagnia selezionava i propri membri in modo rigoroso. Li cercava giovani, ne indagava l’intelligenza, il senso pratico, gli eventuali difetti fisici o di carattere che avrebbero potuto fare da ostacolo al tipo di vita che li attendeva.
Ovviamente non a tutti era riservato il privilegio di solcare i mari per fare opera di proselitismo nelle Americhe o in Giappone, ma anche chi rimaneva in patria doveva assicurare un impegno quotidiano e costante.
Quel che più contava in queste analisi dei neofiti era la presenza di una forte vocazione. All’interno del collegio i giovani sperimentavano uno stile di vita, vivevano a stretto contatto con i padri. Era naturale che alcuni di loro sentissero il desiderio di entrare in compagnia. I padri vigilavano, vagliavano silenziosamente, cercavano di far emergere una vocazione ancora implicita e imperfetta. Quando, nel corso di questo processo, il desiderio di diventare gesuita si palesava, si aprivano però molto spesso contrasti aspri con le famiglie di origine e specialmente con le figure paterne. I legami naturali con padri, madri, fratelli, dovevano essere completamente spezzati. E questo avveniva non senza difficoltà.
Erano difficoltà affettive, timore di non aver discendenza. Contavano anche le ragioni strettamente economiche: il timore era che i gesuiti fossero interessati alla quota di ricchezza familiare cui il giovane aveva diritto. Attorno a quest’avidità di denaro dei gesuiti sono state scritte infinite pagine. Di fatto i gesuiti, come spiega un grande storico, Adriano Prosperi, in un suo libro recente su quest’argomento, erano essenzialmente alla ricerca delle energie giovanili e dell’intelligenza, non della ricchezza.
Chi mi legge, e conosce lo stile di questi miei scritti calcistici estemporanei, credo non si sorprenderà a questo punto nello scoprire che questa lunga premessa mi è servita per segnalare che anche nella mia famiglia si è palesata una vocazione.
Ho per anni osservato, come i padri gesuiti, il comportamento del mio nipotino, ne ho spiati i gusti e seguito le tracce, nella speranza di poterlo portare dalla mia parte. E finalmente sono riuscito nell’intento: è diventato della Fiorentina.
Con mia grande soddisfazione ha incominciato a seguire le partite, a farmi domande sulle regole del gioco, si è iscritto a una scuola di calcio. Il pargolo insomma è ormai di provata fede viola, situazione non del tutto scontata in una situazione come quello versiliese, nel quale la presenza degli odiati bianconeri è molto forte.
È possibile che incontri difficoltà ambientali di ogni genere, dunque, e che come i giovani gesuiti sia perseguitato per questo suo credo. Ma sono certo che sia pronto a difenderlo fino al martirio.
di Ludwigzaller

Di
Redazione LaViola.it