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Il blog di Ludwigzaller: Provaci ancora, Stefano

I dialoghi immaginari tra Stefano Pioli e il fantasma di Nereo Rocco, che però assomiglia anche a Humphrey Bogart, secondo Ludwigzaller

Nelle notti insonni durante il ritiro di Moena, Pioli si macerava: era meglio creare una squadra votata all’attacco, oppure continuare con il solito spirito difensivo, che stufava il pubblico e gli attirava critiche?  Fu a quel punto che davanti al suo letto incominciò a manifestarsi, in piena notte, una figura fantasmatica. Indossava l’impermeabile di Humphrey Bogart, ma era grasso e tarchiato, con folte sopracciglia. Insomma era un misto di Bogart e Nereo Rocco. E parlava in triestino.

La prima volta che lo vide,  il fantasma lo aveva svegliato da un sonno profondo.

Stefano, mona. G’ho visto ancuo el aenamento , tu ti sè mato con quei tacanti davanti.

Paròn – aveva esclamato Pioli dopo averlo vagamente riconosciuto – Ma come mai siete vestito così?

No starte preocupar, pensa a ti più tosto, ancùo g’ho visto che ti te fa tacar i tersini e i i g’ha tre ziogator davanti.

Oggi si gioca così Paròn, se non giocassi in questa maniera tutti i giornali mi darebbero addosso.

-Mona! quando xè ch’ el ziornal te dà doso ? Quando che ti perdi, mona! Ti ti g’ha da star coverto fino a che ti pol, po’ ti fà entrar quei negroni che i calcia forte, che se mi e i g’avessi vùo a ea e Triestina, vinseva el campiona.

Da quella volta, il fantasma di Rocco continuò ad apparirgli regolarmente, ma siccome era anche un po’ il fantasma di Bogart obbligava Pioli a cantare Play it again Sam, a vedere film con la Bergman, e a corteggiare con toni perentori le cameriere di piano. Pioli fu visto più volte bere whisky da solo al bar del centro sportivo di Moena, con l’impermeabile addosso e un cappello floscio che copriva la pelata. In campo invece indossava una vecchia tuta degli anni sessanta e la papalina. Aveva inoltre preso a chiamare Corvino Gipo (Viani) e si rivolgeva a Chiesa chiamandolo Rivera.

Provò in tutti i modi a far cessare quegli strani incubi. Si rivolse a uno psicologo junghiano. Incominciò a leggere le biografie di Guardiola come controveleno. E lentamente le apparizioni del Paròn si diradarono. Era quasi convinto di essere guarito e le due vittorie consecutive in campionato lo rassicurarono. Devo far attaccare la squadra ripeteva a se stesso, basta col gioco difensivo e barboso.

Si era ormai nel secondo tempo e Pioli sedeva sulla panchina del San Paolo, la Fiorentina stava giocando bene e poteva vincere. Pioli era rilassato, Pjaca si stava scaldando. Fu in quel momento che un uomo tarchiato con un vecchio impermeabile indosso e il cappello gli si parò davanti.

Mona, tu ghe voi vincer ti g’ho capio. Ma così vai a perder de sicuro. Stefanin: te g’ho mai dato un consiio sbaliato?

No, Paròn.

Stefanin, tu te g’ha da levar queli leggeri e da meter dentro i negroni tosti, queli che pichian e fano del male. E lassia perder el croato, che a noi triestini i slavi ce son minga mai piaciuti.

Pioli ormai era abbacinato, in pieno loop anni settanta, e ordinò i cambi. Fuori Gerson, dentro gli incontristi, Pjaca in panchina. Poco dopo Insigne si presentava davanti alla porta e facendo passare la palla sotto le gambe di Drago segnava l’1-0. Nell’autobus che riportava la squadra a Firenze, Pioli discuteva ancora con un invisibile interlocutore, tra la meraviglia dei giocatori presenti.

Paròn, ha visto, abbiamo perso e il Napoli ha preso i tre punti.

Ma qual tre punti mona, tu ghe non lo sai che chi vinze prende i due punti?

Il pullman imboccò l’autostrada tra i cori dei napoletani presenti al casello.

di Ludwigzaller

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