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Il blog di Ludwigzaller

Il blog di Ludwigzaller – Peste

Il caos legato alla diffusione del coronavirus dà a Ludwigzaller l’occasione per un excursus sui famosi contagi raccontati in letteratura

Com’era la vita nella Firenze del Cinquecento durante la peste? Ce lo spiega un testimone eccezionale, Niccolò Machiavelli, in un frammento che a lungo era stato attribuito a Lorenzo di Filippo Strozzi (Epistola della peste, Edizioni di storia e letteratura, 2019). Machiavelli la paragona a una città che i turchi hanno conquistato e poi abbandonato. C’è chi è scappato in campagna, chi è rimasto e muore o sta per morire: “le cose presenti ci offendono, le future ci minacciano, e così nella morte si travaglia, nella vita si teme”.

Sensazioni che ci ricordano quelle di questi giorni, anche in una situazione come l’attuale in cui la mortalità è ridotta e le cure più efficaci (ma forse non così efficaci come ci attendevamo). Le strade appaiono sporche e puzzolenti, le botteghe sono chiuse. Le leggi non valgono più, perché nessuno le fa rispettare. Aumentano i furti e gli omicidi. Piazze e mercati sono vuoti. Le persone camminano da sole, e se incontrano amici e parenti girano a largo. I genitori abbandonano i figli. Fiori, erbe, spugne o ampolle vengono tenute vicino alla bocca e al naso per tener lontano il morbo. Sono le stesse norme che il governo oggi consiglia: non avvicinarsi agli altri, proteggere la bocca e il naso dagli agenti patogeni. Qualsiasi discorso o ragionamento non interessa più, si parla solo della malattia e degli ammalati: “Il tale è morto, quell’altro è malato, chi fuggito, chi in casa confitto, chi allo spedale, chi in guardia, chi non si trova”. Quanto alle spiegazioni del fenomeno, le si lascia agli astrologi e ai profeti, qualcuno parla di qualità dell’aria, di cambiamenti metereologici o di prodigi.

Machiavelli ci racconta poi di una sua passeggiata, di mattina, per la città semideserta, e di alcuni suoi strani incontri come quello con una misteriosa donna che in una chiesa piange e si dispera sulla tomba del suo amante, ricordando i piaceri dell’amore carnale. C’è anche un prete che si avvicina per insidiarla, poi la narrazione, stupenda e a tratti surreale, si interrompe.

Il ripetersi nel mondo attuale di una situazione che dopo la scoperta delle vaccinazioni e degli antibiotici credevamo confinata nel passato ci sconcerta. E ancor di più inquieta che i rimedi al contagio siano gli stessi che mettevano in atto i fiorentini ai tempi di Boccaccio o Machiavelli, o i milanesi nel Seicento, quando di malattie infettive non si sapeva nulla e perciò, quanto alle cure, si navigava nel buio più profondo. E vale forse la pena di ricordare che anche nella Milano manzoniana gli assembramenti erano pericolosi, come oggi le partite, tanto che uno dei maggiori veicoli della peste del 1630 fu secondo il Manzoni la grande processione che il cardinal Borromeo aveva indetto per chiedere a Dio di risparmiare la città.

Il ciclo epidemico però a un certo punto com’è arrivato sparisce. Nel mondo preindustriale la mortalità dovuta alla peste alleggerisce la pressione che un eccesso di popolazione esercita sulle risorse disponibili. I sopravvissuti ereditano dai morti, ci si sposa, si creano grandi fortune economiche, tutto acquista un nuovo slancio.  Scrive il protagonista del Diario della peste di Londra di Daniel Defoe (l’autore del Robinson Crusoe), con istinto vitale indomito: “ci fu a Londra una grande pestilenza nell’anno 1665, spazzò via centomila anime, eppure io vivo”.

Speriamo dunque di tornare presto a parlare di calcio e a godere delle partite in un Franchi inondato di sole.

di Ludwigzaller

In copertina: La Peste d’Asdod, incisione di E. Picart da Poussin.

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