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Il blog di Ludwigzaller

Il blog di Ludwigzaller – Lo hobbit

The Hobbit

Ludwigzaller racconta la storia dell’hobbit Beppe Iachini

Accadde nel 1964, e qualche testimone lo ricorda ancora. Una guardia forestale che stava perlustrando i Monti Sibillini si imbatté in un misterioso bambino abbandonato. Era di corporatura robusta, non molto alto, si notavano i grandi piedi pelosi, le mani che somigliavano a dei guantoni da baseball e le orecchie a sventola. La guardia si ricordò di aver sentito dire che i Sibillini erano una porzione della leggendaria Terra di Mezzo e che nei boschi si aggiravano elfi, nani e hobbit. Il parroco del paese, che era un lettore di romanzi fantastici, si mise al tavolino e scrisse una lettera a un grande professore di letteratura inglese, che aveva insegnato a Oxford. Il professore venne, parlò a lungo con il bambino che si esprimeva in un linguaggio sconosciuto. E alla fine diede il suo verdetto: si trattava di uno hobbit, che fu chiamato Beppe. Il cognome, Iachini, era quello della guardia  giurata.

I grandi piedi furono alla base della sua fortuna calcistica, benché fosse difficile per i magazzinieri trovare le scarpe giuste visto che calzava un sessantadue. Solo i medici sociali conoscevano il suo segreto. Gli hobbit non erano molto versati nella tecnica, ma Beppe suppliva assestando calci ai giocatori della squadra avversaria con le sue pelose estremità. Non che mancassero del resto nel campionato altri abitanti della Terra di Mezzo, come i fratelli Inzaghi, due gnomi lombardi destinati a far fortuna a Roma. 

Fu come allenatore della Fiorentina che Beppe rivelò le sue doti migliori di hobbit, la testardaggine, il coraggio, la capacità di lottare alla pari contro forze demoniache. I tifosi si schierarono dalla sua parte perché era semplice e ingenuo, gli unici suoi piaceri erano la birra irlandese e la lenta aspirazione della lunga pipa. I problemi nacquero quando si vide che la squadra pareggiava sempre. Il direttore sportivo lo prese da parte e gli chiese spiegazioni. Beppe non sapeva bene cosa rispondere, perché nel mondo degli hobbit la vittoria sportiva non esisteva. Gli hobbit si incontravano con gli elfi in lunghe partite di pallone nelle quali non vinceva nessuno. Anzi vincere era disonorevole e all’ultimo momento la squadra in vantaggio concedeva il pareggio con un’autorete. Le partite si svolgevano nei prati ed erano feste nel corso delle quali si beveva, si mangiava e si suonava l’arpa.

Si pensò allora di licenziarlo e di assumere un allenatore che vincesse. Già, ma come si caccia uno hobbit? Nessuno aveva il coraggio di dirglielo, né il presidente, né il direttore sportivo, né i giocatori. Fu così che la Fiorentina lentamente scivolò nelle serie inferiori, dove rimase per migliaia di anni. Ma tanto di vincere non importava più niente a nessuno.

di Ludwigzaller

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