Le difficoltà italiane di Commisso e dello zio d’America di Ludwigzaller
Il ritorno di mio zio dagli Stati Uniti dove si era trasferito alcuni anni prima fu un evento sorprendente a cominciare dal suo sbarco a Malpensa. Era ingrassato, indossava una sorta di sahariana che doveva essere alla moda là dove viveva, in una cittadina non lontana da San Francisco, e per nascondere la calvizie usava un parrucchino. Era andato in America da grande, attirato dall’offerta di un fratello di mio nonno, che aveva aperto un ristorante con un certo successo in downtown e preparava i pasti per operai e impiegati. Aveva con sé una moglie dal carattere volitivo che compensava le sue timidezze e un bambino simpatico di nome Ernesto che considerava la ribollita un cibo da selvaggi e chiedeva disperatamente hamburger con patatine. L’Italia dovette sembrargli completamente diversa rispetto a quando era partito. Era un paese molto più ricco, con uno stile di vita che ricordava per certi aspetti quello americano, ma che nel fondo era rimasto uguale a prima.
Mio zio, che in America non se la passava così bene come aveva sperato, se ne rese conto quando raggiunse, assieme alla sua famiglia, la meta più ambita di ogni viaggio in Italia, Venezia. A Firenze, almeno fino a qualche anno fa, si poteva mangiare in centro spendendo poco. Tutto il contrario accadeva a Venezia, anche il ristorante più modesto cercava di trarre il massimo profitto dalle visite degli stranieri. E per colmo di ludibrio trattava anche male i clienti. Si sedettero dunque in una di queste trattorie e ordinarono un fritto misto e un risotto. Il cameriere volteggiava tra i tavoli, ma continuava a ignorarli. Il locale era pieno, si disse mio zio, bisognava servire tutti, ma dopo un’ora la pazienza stava venendo meno.
Fu allora che entrò lui, l’avvocato. Non entro nei dettagli della descrizione, ma possiamo immaginarlo come un uomo elegante, di una certa età, con la mazzetta dei giornali sotto il braccio. Alla vista dell’illustre ospite, riemersero nell’animo del cameriere antiche tradizioni di deferenza. Avvocato, esclamò, le preparo subito il suo tavolo. Mio zio osservava la scena stupefatto. Dopo pochi minuti l’avvocato sedeva davanti a un piatto di risotto alla pescatora e aveva cominciato a mangiare. E mio zio e i suoi familiari erano ancora a digiuno.
Rispetto alle regole della democrazia americana, che mio zio aveva assorbito vivendo nella baia di San Francisco per un certo numero di anni, quanto stava accadendo era scandaloso. In quel mondo esistevano certo le differenze sociali, ma se una persona sconosciuta e vestita modestamente si sedeva in un locale non era certo ignorata, purché naturalmente fosse in possesso dei soldi per pagare e se lo potesse permettere. Lo avevo constatato io stesso quando qualche anno prima mio zio ci aveva accompagnato in un ristorante girevole che si trovava sulla cima del più bell’albergo di San Francisco. Nelle hall dei grandi alberghi americani si poteva entrare liberamente, non c’erano camerieri e maître a fermarti e a chiederti i documenti.
Quando mi capita di leggere delle difficoltà di Rocco Commisso con la burocrazia italiana, e con le complicate regole del mondo del calcio, della sua rabbia e indignazione, ripenso sempre a mio zio, al suo disagio, che è lo stesso di Rocco, per essere stato servito dopo “l’avvocato”.
di Ludwigzaller
Di
Ludwig