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Il blog di Ludwigzaller

Il blog di Ludwigzaller: Fango

Ludwigzaller paragona la situazione del tecnico viola Vincenzo Montella a quella del protagonista de La montagna incantata Hans Castorp

La montagna incantata di Thomas Mann fu il primo classico di inusitata lunghezza di cui mi decisi ad affrontare la lettura. M’impegnò per un’intera estate, durante la quale lo interruppi per andare in Scozia. Nel sanatorio di Davos, in Svizzera, dove è ambientata la storia, il protagonista Hans Castorp arriva per caso.

Al principio non ha alcuna intenzione di trattenervisi, si tratta solo di una visita a un cugino che vi è ricoverato. Subito però lo conquistano l’eleganza e la leggerezza di quello stile di vita. L’ospedale è immerso in un paesaggio montano di straordinaria bellezza, le stanze sono comode, il vitto è di ottima qualità e a buon mercato. In quel luogo aleggia la morte, ma la vita che vi si svolge non è diversa da quella di un grand hotel. Siamo a primi del Novecento, un’epoca felice per una società europea che sta per naufragare ma ancora lo ignora.

Nell’ospizio di Davos Castorp vivrà per molti anni, s’innamorerà, assisterà alle interminabili discussioni tra l’ex gesuita Naphta e il democratico e ottimista Settembrini. Quel che accade alla fine della storia è sorprendente. Gli echi della guerra raggiungono il sanatorio. Settembrini prende da una parte Castorp e gli fa capire che il suo posto è sulla terra, e non in quella sorta di paradiso. Nell’ultima scena Castorp è alla guida di un drappello di soldati, nelle trincee del fronte. Avanza con fatica nel fango, i suoi abiti sono lordi. Un’esperienza del tutto contrapposta a quella del sanatorio, estrema ma paradossalmente salutare e necessaria all’equilibrio mentale del protagonista.

Al principio dell’era di Montella la Fiorentina viveva nell’atmosfera magica della “montagna”. La squadra, pur nata casualmente, appariva perfetta, il gioco splendido, gli interpreti in stato di grazia. A fine stagione quel quarto posto ottenuto ai danni di squadre come l’Inter sembrò poco, rispetto ai meriti di quella Fiorentina angelica e santa, i cui protagonisti svolazzavano per il campo come i cherubini nei cieli azzurri degli affreschi di Benozzo Gozzoli. Nonostante le aspettative non durò, ci furono segnali dolorosi come l’infortunio di Giuseppe Rossi, l’addio di Jovetic, Ljajic e Cuadrado, fino allo scontro tra l’allenatore e la società. Dopo qualche mese di bel gioco, con Sousa incominciò la decadenza, venne poi il triste biennio di Pioli.  Non andavano meglio le cose a Montella, esonerato a Milano, cacciato da Siviglia nonostante risultati non pessimi.

Ora Montella è di nuovo a Firenze, sostenuto da un progetto societario importante e dal dinamismo americano. La sua squadra non è più all’altezza della vecchia in termini di gioco, è una squadra terrena, obbligata a combattere immersa nel fango come i soldati della prima guerra mondiale, a guadagnarsi con fatica ogni vittoria. Nello sguardo dell’allenatore s’indovinano minori certezze, è uno sguardo più stanco, l’approccio è meno utopico e più realistico. Non che la classe e le ambizioni manchino però. Proprio per questo è lecito attendersi molto di più di quel che si è visto col Parma. Chi ama la Fiorentina e vuole vederla in alto non può non criticare la prova di ieri.

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