
L’uscita nel 1543 del De revolutionibus di Copernico passò quasi sotto silenzio. Il libro dell’astronomo polacco era dedicato a un papa, Paolo III, ed era munito quindi delle autorizzazioni ecclesiastiche. Dovette passare quasi un secolo prima che i gesuiti si accorgessero che considerare il sole, e non la terra, il centro dell’universo, metteva in pericolo le verità della Bibbia. E a farne le spese fu Galileo. Da allora in poi la parola “copernicano” passò a indicare il pensiero di chi genialmente ribalta una convinzione diffusa e la sostituisce con un’altra opposta. La filosofia di Kant, la psicoanalisi di Freud, o l’evoluzionismo rientrano in questa categoria. Ma vi rientra anche l’idea di un ragazzino svedese, Bjorn Borg, di impugnare la racchetta con due mani mentre eseguiva il rovescio: gesto proibitissimo dai maestri di tennis della mia epoca.
Ci sono molti motivi per definire Guardiola un copernicano, ma vorrei soffermarmi sulla preparazione fisica della squadra. Prima di Guardiola, la preparazione mirava a riempire il serbatoio dell’atleta. Si pensava che lavorando duramente durante l’estate i giocatori accumulassero forze sufficienti a giocare ad alti livelli tutto l’anno. La preparazione iniziava con attente e spesso avveniristiche misurazioni della soglia aerobica e degli altri parametri dell’atleta. E proseguiva attraverso corse in salita nei boschi, ripetute e navette. Sottoposti a queste incessanti torture, i giocatori erano destinati a rivedere il pallone dopo settimane. E solo a quel punto entrava in scena l’allenatore. Così accadeva al tempo di Prandelli, allorché a San Pietro a Sieve i giocatori della Fiorentina erano affidati alle cure di Giampiero Venturati.
Negli stessi anni Guardiola, a Barcellona, aveva già inaugurato un nuovo stile di preparazione. A suo parere infatti dannarsi l’anima durante l’estate non serviva a un bel nulla. Bisognava al contrario prendere subito confidenza con la palla, attraverso brevi cicli di allenamento che simulavano le condizioni tecnico-tattiche della gara: “nessuna corsa continua, nessuna serie di 1.000 metri, nessun circuito di sollevamento pesi, nessuna sessione da atletica”. L’idea stessa che durante l’estate si debbano accumulare energie per tutto l’anno calcistico per Guardiola è una favola.
Da epigono e discepolo di Guardiola, Montella, prima a Firenze, poi al Milan, non ha fatto che proporre un tipo di preparazione ben conosciuta e collaudata, visto che le squadre di Guardiola non hanno mai avuto cali significativi di rendimento e hanno vinto scudetti e coppe europee.
Meraviglia dunque che Gattuso, certi titolari del Milan, così come la stampa, gli ex giocatori e allenatori che gravitano nell’orbita milanese, possano sostenere che il Milan di Montella fosse male allenato e che solo grazie a Gattuso i giocatori abbiano ripreso a giocare bene, a correre e a vincere. Come se Guardiola fosse uno sconosciuto, non se ne conoscessero i metodi, non si fossero letti i libri che ha scritto, o che sono stati scritti su di lui. E quanto a Fassone e Mirabelli, sembra davvero strano che, prima di ingaggiare l’allenatore di un club con tali fatturati e ambizioni, non abbiano a lungo studiato il suo modo di allenare e di mettere in campo la squadra.
Duro il destino dei copernicani.
di Ludwigzaller

Di
Redazione LaViola.it