Il rapporto tra Firenze e le altre città toscane è sempre stato, storicamente, difficile. Sul piano calcistico però, secondo Ludwigzaller, la Fiorentina può prendere esempio dal “modello Empoli”
Nel medioevo e poi nel Rinascimento, la democrazia era conosciuta e praticata. Il potere era gestito collettivamente, e l’avvento di un principe che lasciasse in eredità ai propri figli una città era considerata la più grande disgrazia. In Toscana, tutti coloro che provarono, prima dei Medici, a farsi re, fecero una brutta fine.
Certo, non tutti votavano, e partecipavano al potere. Al tempo di Savonarola fu creato un consiglio composto da qualche migliaio di persone, ma fu un episodio di breve durata, per quanto storicamente importantissimo. Una volta passati i confini della città, i diritti di cittadinanza scomparivano. Gli abitanti dei contadi erano sudditi da sfruttare e trattare duramente. Anche le popolazioni delle città che Firenze veniva conquistando nella sua espansione non godevano degli stessi diritti dei fiorentini e ne pativano. Machiavelli pensava di utilizzare gli abitanti del contado come soldati ma a quel punto i contadini avrebbero probabilmente reclamato quei diritti politici che non avevano.
Di qui un odio per la città “dominante” che non si è mai davvero esaurito. Quando le truppe di Carlo V misero l’assedio ad Arezzo, i fiorentini sperarono che gli aretini avrebbero resistito a lungo, così da permettere all’esercito guidato da Ferrucci di respirare, ma gli aretini non si sentirono obbligati ad aiutare la dominante. Qualche anno prima, Pisa aveva provato a riprendere la sua indipendenza, e dato filo da torcere ai condottieri della Firenze repubblicana. Si capisce a questo punto come mai i pisani, gli aretini o i senesi non tengano alla Fiorentina. Il ricordo dell’antica sottomissione continua ad agire.
Due città del contado fiorentino, Prato ed Empoli, hanno tuttavia avuto una loro importanza nella storia del calcio. Si tratta di città in qualche modo simili, distretti industriali ricchi e dinamici. Negli anni Cinquanta fu l’industria pratese a fare le fortune della Fiorentina. Coi soldi di Befani venne costruita la squadra che vinse uno scudetto, ne sfiorò altri, arrivò in finale di Coppa dei Campioni, nell’epoca gloriosa di Fulvio Bernardini. Empoli ha invece sperimentato con successo un progetto calcistico indipendente. Grazie al player trading, l’Empoli si muove intelligentemente. Fa crescere giovani e li rivende. Riparte dalla B senza troppa inquietudine, facendo tabula rasa nel caso che il progetto temporaneamente fallisca.
Ma quel che più colpisce nell’idea di calcio dell’Empoli è la rottura dell’equazione semplificante secondo la quale una piccola squadra di provincia non può permettersi di giocare bene. Da anni a Empoli stipendiano allenatori coraggiosi, dalla forte personalità, amanti del gioco organizzato e del rischio. Si è creata una vera e propria scuola. I nomi sono noti: Spalletti, Sarri, Giampaolo, Martusciello allievo di Sarri, Andreazzoli allievo di Spalletti. Il calcio fatto con i giovani e con l’autofinanziamento non deve insomma essere necessariamente punitivo come una medicina cattiva. L’indicazione vale anche per Firenze.
di Ludwigzaller
Nell’immagine: Giorgio Vasari, Assedio di Pisa, Palazzo vecchio.
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Redazione LaViola.it