Ludwigzaller torna sull’esonero di Montella e sulle diverse visioni del calcio tra chi pensa solo al risultato e chi ha come obiettivo la ricerca del gioco
In un momento come questo, tempo di bilanci, mi pare giusto citare quello che appare come il più suggestivo documento calcistico dell’anno. Si tratta della ben nota intervista rilasciata da Allegri a Mario Sconcerti e apparsa sul Corriere della Sera. Mi viene da accostare Allegri a quei pagani che recriminano sulla vittoria del cristianesimo. Ormai i cristiani hanno vinto, la civiltà antica è al tramonto, si distruggono i templi per edificare basiliche, la filosofa Ipazia, simbolo della cultura ellenistica, viene massacrata dai fanatici ad Alessandria. L’imperatore Giuliano l’Apostata, colpito da una lancia in battaglia, esclama, rivolto idealmente a Cristo: “Hai vinto Galileo!”. L’apostata Allegri si rivolge con parole simili a Guardiola: “Va bene, hai vinto, mi hanno licenziato dalla Juventus per colpa tua, ma ora ti dimostrerò che hai torto”. Ed ecco che cosa dice:
“Sì, abbiamo seguito per vent’anni Guardiola equivocando. Guardiola raccontava solo la sua eccezione, non era un calcio per tutti. Il Barcellona storico nasce con tre grandi giocatori che pressano alti e spingono le difese avversarie dentro la loro area. Così a sua volta i centrocampisti salgono e si inseriscono e la tua difesa può arrivare a metà campo. Ma devi avere Iniesta, Xavi e Messi”.
“Quando sento Sacchi che parla di tenere il pallone e avere atteggiamenti propositivi non capisco cosa dica e mi arrabbio. Perché non dovrebbe essere propositivo giocare in verticale, perché dovrebbe esserlo fare venti passaggi di un metro?”.
“Klopp […] quando era al Dortmund prendeva molti più gol, me lo ricordo. Ma anche lui fa un gioco verticale, scatta continuamente, cerca spazio non di lato ma alle spalle dell’avversario. Non capisco perché ci si debba vergognare di avere inventato noi questo modo di giocare”.
“Non esistono gli schemi, non esiste l’intelligenza artificiale, conta l’occhio del tecnico […]. Il calcio è un campo, non un universo. Le cose si trovano, si toccano, non importa essere troppo elettronici. Serve un allenatore che sappia fare il suo mestiere la domenica, quello è il giorno in cui bisogna essere tecnici. Il resto tocca ai giocatori, alla loro diversità”.
Sono argomenti forti con cui ci siamo misurati anche a Firenze. In Montella si è colto un eccesso di filosofia, una fedeltà esclusiva agli schemi. Si è detto che non è stato capace di cambiare gioco quando gli sono venuti meno Ribery e Chiesa. E che pensava alla Fiorentina come a un laboratorio calcistico simile a quello del Barcellona. Il calcio è cambiato dal 2012, non ci sono dubbi. I successi di Guardiola hanno stimolato gli altri tecnici a trovare contromisure, si è visto un ritorno al contropiede che Allegri continua a vedere come il gioco italiano tipico.
Le sconfitte di Montella, l’esonero di Di Francesco, la crisi del Milan di Giampaolo sembrano inverare il punto di vista di Allegri. Di certo c’è che non serve avere Messi per giocare come il Barcellona, ma ci vogliono giocatori adatti, tecnici, specializzati, come Cuadrado, Jovetic, Giuseppe Rossi. Due giocatori così Montella li aveva, due campioni assoluti, ma li ha persi per strada e sostituti non ce n’erano. Torniamo dunque mestamente a un calcio simile a quello propugnato da Allegri, che, sia detto incidentalmente, a me sembra noiosissimo, speculativo, codardo.
di Ludwigzaller

Di
Redazione LaViola.it