Da quando si è passati al campionato a tre punti, il valore di una vittoria è aumentato esponenzialmente. Ecco perché, secondo Ludwigzaller, la Fiorentina avrebbe beneficiato di un allenatore più coraggioso come Montella
Che due più due faccia quattro lo sanno tutti, tanto che l’espressione è assurta sin dai tempi antichi a simbolo delle verità, matematiche e non, universalmente note e riconosciute. Tra i primi ad affermarlo esplicitamente è il Don Giovanni di Moliere, parlando con il suo servitore: “Io credo che due e due fa quattro, Sganarello mio, e che quattro e quattro fa otto”. Non diversamente si esprimono Cartesio, Tolstoj, George Orwell. Per Orwell sono le dittature che pretendono di stravolgere persino il calcolo aritmetico più semplice. C’è anche tuttavia chi identifica nella formula due più due fa quattro il pericolo dell’omogeneità e del non cambiamento, come Byron, e che spera che finalmente due più due incominci a fare cinque; o Dostoevskij secondo il quale la formula “non è priva di una sua attrazione”.
Nel mondo del calcio l’idea di complicare le cose assegnando tre punti anziché due a chi vince nacque dall’esigenza di rendere le partite meno prevedibili e più combattute. Furono gli inglesi ad adottare nel 1981 questa regola, che venne introdotta nelle finali di coppa del mondo del 1994, diventando lo standard e costringendo l’Italia ad adeguarsi. Nella filosofia del catenaccio all’italiana, infatti, il pareggio, possibilmente senza goal, era uno degli obiettivi fondamentali. Nell’universo dei due punti a vittoria c’erano allenatori che mediante numerosi pareggi arrivavano a piazzamenti importanti a fine stagione. Dividere la posta poteva anche incoraggiare gli accordi tra le squadre.
A mano a mano che il sistema si affermava apparve chiaro, anche in Serie A, che la filosofia del gioco era completamente mutata. Per vincere in campionato bisognava mettere insieme molte vittorie, in casa e in trasferta. Nel sistema precedente, e nella media inglese che lo rispecchiava, pareggiare fuori casa era un risultato ideale. La vittoria fuori casa era un evento unico, da festeggiare, in certi casi arrivava dopo Natale.
Una squadra che in un campionato a diciotto squadre vincesse sempre otterrebbe oltre cento punti. Pareggiando non si andrebbe oltre i trentaquattro, la differenza sarebbe di circa settanta punti. Nel vecchio campionato a sedici squadre il massimo di punti ottenibili era sessanta, chi pareggiava sempre ne otteneva trenta, la metà. Ecco perché il pareggio è attualmente il risultato peggiore, utile soltanto alle squadre più deboli e meno attrezzate. Per avere gli stessi punti che si ottengono con due vittorie in otto giorni, occorrono come minimo sei turni di campionato, quasi due mesi. Nel frattempo gli altri corrono e la squadra che pareggia finisce in fondo.
La vittoria è coraggio, è l’irrompere nella vita quotidiana dell’irrazionale, del due più due fa cinque. E d’altronde il monte ingaggi della Fiorentina, che è dieci volte più alto di quello del Lecce, ci impedisce di pensare a una stagione simile a quella del Lecce di Liverani. Noi siamo altro. Ecco perché ho trovato del tutto conservativa ed errata la scelta di sostituire un allenatore che faceva del coraggio la sua cifra con un altro prudente e abituato alla bassa classifica. Se proprio non si poteva confermare Montella mettendogli a disposizione un budget importante sul mercato invernale, bisognava andare in cerca di un altro allenatore coraggioso e affamato di vittorie. Avremmo forse evitato le critiche aspre, ma meritate, che France Football ci ha riservato nelle ultime ore.
di Ludwigzaller
In copertina: Vasilij Grigor’evič Perov, Ritratto di Dostoevskij

Di
Redazione LaViola.it