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Il Blog dei Tifosi – Il Principe non c’è

Commisso

Paolotto riflette sulla mancanza a Firenze, ormai da tempo, di un “principe” che conduca i tifosi viola alla gloria. Arriverà mai?

L’ultima intervista di Rocco Commisso sembra finalizzata  procurare la pace dei sensi. Voglio dire che fa venir meno ogni libidine sportiva, ogni desiderio. È così, la strada è questa, nessuno si aspetti gloria e godimenti. Ci vorrebbe lo stadio di proprietà, ma ormai sappiamo com’è andata. Una  strada dellavalliana. Come del resto ci era stato preannunciato da Cognigni all’uscita dallo studio del notaio, tre anni fa: tranquilli, non cambierà nulla.

Poche ore per compiacersi del settimo posto e della postierla che consente di provare a intrufolarsi in Europa,  e subito ci si divide fra recriminazioni e giustificazioni, col fegato che soffre sia negli uni che negli altri.

Mi sforzo di essere oggettivo. Un miliardario americano non può venir qui a buttar via i suoi soldi per far divertire noi. Non so quante volte l’ho scritto negli ultimi venti anni. Se in teoria  potrebbe essere possibile, è evidente che  non è questa l’idea che tre anni fa ha mosso Rocco Commisso, altrimenti ne avremmo già visti gli effetti. È venuto da imprenditore, lo sapevamo fin dall’inizio e nessuno può fargliene una colpa. Avrà fatto male i suoi conti, non avrà approfondito tutti i problemi che ci sono in Italia e a Firenze quando si tratta di venir da fuori a investire. Ma questi suoi eventuali errori non possono certo costringerlo a fare quello che non vuol fare. Gli va riconosciuto il diritto di tutelare i propri interessi. E alla fine c’è un centro sportivo che cresce e che fra poco sarà ultimato. A quel che si dice, sarà una struttura con pochi paragoni nel settore calcistico.

Ma c’è anche la nostra campana, quella dei tifosi. Anche questo l’ho scritto tante volte: chi rileva una società calcistica non acquista una fabbrica di frigoriferi. Anche se possiede l’intero capitale sociale, suo malgrado ha dei soci. Non occulti, ma palesi. Non di capitale, ma di passione. Sono i tifosi. Se un imprenditore non vuole avere questi soci fastidiosi fra i piedi, compri solo fabbriche di elettrodomestici e non società di calcio.  Una fabbrica si può acquistare in ogni angolo del mondo, e poi la si può trasferire nell’angolo del mondo opposto senza che si debbano rivedere le regole costruttive del prodotto finale. Invece una società di calcio è avvinta inesorabilmente a una comunità di persone, una comunità principalmente locale ma fortunatamente non solo locale, che ha dei diritti ideali sull’oggetto della propria passione. Un “cliente” non soddisfatto della lavatrice, può passare ad altra marca. Il tifoso non può passare ad altra squadra. È logico che sia in apprensione  riguardo  a come il tenutario pro-tempore la gestisce; è naturale che rivendichi il diritto di dire la sua e di essere ascoltato.

Tutti sanno che nel calcio esistono questi  lacciuoli. Se un imprenditore vi fa accesso, e nessuno lo obbliga, deve esserne consapevole e deve accettarli. Deve saperci convivere nel reciproco rispetto. In questa fase nella quale pare tutto scritto, dove c’è solo da attendere, non resta che convivere rispettandosi e cercando di non farsi male. Da una parte e dall’altra.

Ma ci siamo anche noi in gioco, c’è la comunità viola che fiorisce a Firenze e in tanti altri luoghi vicini e  lontani. Non è  roba solo fiorentina, ma Firenze nelle sue varie espressioni è presente e condizionante.

Cosa facciamo noi per la Fiorentina? Domanda scomoda. Non voglio dire: cosa fa ciascuno di noi, nel suo privato. Mi riferisco alla comunità viola e a Firenze. Dagli anni Novanta non siamo più in grado di esprimere una proprietà della nostra squadra di calcio. Il “romano”, ma viola, Mario Cecchi Gori rappresentò la breve transizione. Già il figlio, dopo di lui, ci si trovò nel mezzo suo malgrado, anche se con indubbio entusiasmo. Però, pur nato a Firenze, era romanista e tale rimase.

Incapace di trovare un Principe, la comunità viola attende che venga da fuori.  Ma se viene da fuori, non sarà mai il nostro “Principe”. Sarà uno straniero, che col suo esercito entrerà entro le mura in pompa magna per i suoi disegni di potenza e di dominio. Vorrà costruire i suoi palazzi e abbattere quelli che non gli piacciono o che gli fanno ombra. Non avremo mai un esercito nostro, ma solo mercenari da pagare e dei quali diffidare. Soldati in prestito, oggi qui con noi e domani là contro di noi, se non li riscattiamo entro il 31 di maggio.

Un Principe straniero non  avrà remore a mostrarci il suo pugno di ferro dopo gli iniziali sorrisi, se non restiamo sottomessi. Verrà per prendere più che per dare.  E allora noi trameremo per trovarcene un altro. Ma finché sarà straniero, sarà più o meno la stessa musica.

A Firenze c’è un torpore e un disincanto che sembrano ormai invincibili in tutti i campi, a partire da quello istituzionale – o per finirvi, perché niente nasce da solo. Berardo parla di “malaise” con una espressione che, anche foneticamente, rende tutta intera l’idea. In questo clima languido e di abbandono, nel quale non si fa più nulla se non parlare a vuoto per tirare avanti, sembra che non possa esserci nessun Principe vero all’orizzonte.

Fu così a Firenze nel 1537, dopo l’uccisione di Alessandro de’ Medici ordita da Lorenzino. Nessuna famiglia voleva farsi avanti, tutti diffidavano di tutti. Chiamarono Cosimo, un Medici del ramo popolano, a mettere tutti d’accordo almeno per qualche mese. Ci pensò lui, ma per qualche decennio. Oggi il nostro Principe non si vede, ma non dobbiamo perdere la speranza che, come allora, arrivi

di Paolotto

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