Dopo tanto faticare, la Fiorentina si è ritrovata. E come un fiore a primavera, è sbocciata. Paolotto spiega quali sono state secondo lui le ragioni della rinascita
“Fiorentina squadra primavera” era il titolo di un almanacco viola che riportava la storia viola e i tabellini di tutte le partite fin dai tempi remoti di Sernagiotto, Pizziolo, Bruno Neri e Petrone. C’è poco da dire, la primavera è la stagione della Fiorentina. Anche quest’anno soffia un’arietta di rinascita che è un piacere respirare a pieni polmoni. Mi rammenta quel clima felice della fine del campionato 1965-1966, con tutte quelle vittorie. Ma anche quella splendida primavera dei giaggioli del 1969 che ci portò lo scudetto. Però, così tante vittorie di fila non le ricordo. Forse è un record. Bisogna tenersi un po’ a freno perché saremmo tentati di pensare che, oggi come oggi, possiamo battere chiunque, grandi e piccini, Milan e Inter, Cremonese e Verona. Sempre vittoriosi, in Italia e all’estero.
Fino a qualche mese fa molti di noi osservavano meditabondi che questa rosa era stata sopravvalutata. Oggi potremmo dire che era stata, semmai, sottovalutata a causa di una sequenza di prestazioni e di risultati lontanissimi da quelli attuali, e spesso deprimenti. Con l’allenatore che, sgomento, confessava di non sapere più, neppure lui, che pesci prendere. Poi li ha presi, questi pesci. O, per meglio dire, e al contrario, li ha lasciati liberi di andare, ha tagliato le reti delle gabbie di allevamento nelle quali li aveva tenuti prigionieri, tristi e sconsolati. E allora i pesciolini hanno preso a guizzare felici, increduli, senza posa, una piroetta dietro l’altra. Cross, rovesciate, gol.
È una mia impressione, o la Fiorentina di queste settimane sembra una squadra liberata dall’impiccio delle reti di contenimento? Io non so nulla di tattica, ma so distinguere il concetto di orizzontale da quello di verticale, quello di velocità da quello di lentezza. Come non c’è bisogno di essere astronomi per riconoscere il giorno dalla notte. Se è così, è un merito dell’allenatore aver trovato la chiave della liberazione del gioco. Non dell’anarchia, perché certi canoni di base ci sono e i giocatori li rispettano. C’è uno spirito nuovo nei giocatori, che si sentono protagonisti di un’avventura gioiosa che riescono a determinare col loro estro, col loro genio. Ed è proprio così che si prende gusto nel fare le cose, che le si fanno sempre meglio. Il risultato è un premio personale che sprona a seguire la stessa strada, a perfezionarla. Vale in tutti i campi.
I nostri giocatori non sono dei grandissimi campioni. Hanno pregi e carenze. Il merito dell’allenatore è stato quello di averli lasciati finalmente liberi di puntare sui loro pregi, di non costringerli più a mettersi alla prova sul terreno delle loro carenze in omaggio a criteri di gioco rigidi e astratti, avulsi dalle qualità disponibili in concreto nella rosa. In effetti, io non vedo un percorso di crescita programmato dall’inizio della stagione a oggi.
Mi pare, invece, che a un certo punto vi sia stato uno scossone, un ribaltamento, e che da allora tutto abbia cominciato a girare per il verso giusto. Secondo me, lo scossone è stato provocato dall’aver tagliato le gabbie e aver puntato sul libero arbitrio dei giocatori, sebbene indirizzato. Così, ciascuno ha potuto esaltare i propri pregi, felice di non doversi cimentare nei compiti per lui più ostici, che in quanto tali sono fonte di brutte figure. Lo si sarebbe potuto fare anche prima? Se questo ragionamento è fondato, direi di sì.
Non è mai troppo tardi. La strada trovata sembra quella giusta, anche se la normale alternanza dello stato di forma, ora al massimo, potrà portare a qualche occasionale inciampo che dovremo saper accettare. Prendiamo quindi quello che viene, e godiamocelo fin a quando sarà possibile godercelo.
Continuo invece ad essere dubbioso sulle prospettive. Non vedo un progetto sportivo nella società, che non ha potuto trovare gli sbocchi che si sarebbe attesa e che si è quindi assestata su un profilo attendista, come ha dichiarato esplicitamente. Le tattiche attendiste non sono per definizione lunghe: sono, appunto, l’attesa di qualcosa. Ci sarà qualcosa che ci aspetta dietro l’angolo, ma ancora non vediamo cosa. E poi ci sono i nuvoloni neri dello stadio, con i dubbi su un restyling che sembrava certo e che è tornato in discussione. C’è il problema tardivamente emerso e ancora da risolvere – con tante idee nebulose al riguardo – sulla lunga chiusura dello stadio per i lavori (se ci saranno).
Insomma, non facciamoci prendere troppo dall’entusiasmo. Ma intanto è primavera, e allora godiamocela.
“È primavera, svegliatevi bambine
Alle Cascine messere Aprile fa il rubacuor”
(da “Mattinata fiorentina” di Galdieri-D’Anzi, 1941)
di Paolotto
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Di
Redazione LaViola.it