Paolotto ripercorre gli anni della sua ‘educazione viola’. E si interroga su quale sia stato il percorso che ha portato altri tifosi a questo amore
Si tiravano due pedate per la strada avendo per porta un bandone sempre abbassato, là dove la strada piegava a angolo retto. Certi stonfi, e anziani svegliati dal pisolino che si sbracciavano dalle finestre enumerando le virtù delle nostre mamme. Una litania pomeridiana che preparava la messa vespertina.
Quando i compiti ci lasciavano più tempo libero andavamo anche al campetto parrocchiale, in alto dietro la chiesa. Senza erba, ma rettangolare e con le porte.
C’era persino lo spogliatoio, uno sgabuzzino seminterrato e sempre aperto. Non era raro, quando arrivavamo col pallone, di vederne uscire stizziti, mentre in fretta e furia si rimettevano in ordine l’abbigliamento, un giovanotto e una ragazza disturbati sul più bello.
Di quanti segreti di paese, a volte indicibili, fummo i primi scopritori.
Il patto era che il sor priore non dovesse saperlo, altrimenti addio spogliatoio.
Una volta il parroco ci disse che sarebbero arrivate le maglie della Fiorentina. Non stavamo nella pelle. Ma non arrivavano mai. Quando finalmente fu il momento, ci rimanemmo malissimo. Erano viola, però di un violino sbiadito e senza giglio. E soprattutto non erano maglie, bensì canottiere. Scherzi da prete.
Furono quelli gli anni della mia educazione viola. Un passaggio reso naturale dall’aria che respiravo e dalla comunanza con gli amici, coi quali costituimmo addirittura – quando ancora non se ne parlava – un nostro viola club, che aveva sede in uno stanzino di rimessa nell’orto di uno di noi. Pareti tappezzate con le figurine dei giocatori viola e con le foto di qualche partita eroica, ritagliate dalla Nazione. Un gol di Hamrin, una parata di Sarti. Quel luogo sacro fu poi profanato da una tragedia e non ci volemmo mettere più piede. Lasciammo lì tutto il nostro armamentario liturgico. Ma stavamo anche diventando grandi.
Un altro luogo sacro era il “Nèghe”, il bar sport principe del paese, dove si giocava la schedina.
“Nèghe”, parola rimasta misteriosa. Non ho mai saputo se era il gestore a dare il nome al bar, o se dal bar lo prendeva.
Lì, la domenica pomeriggio, finite le partite, ci affollavamo per seguire quell’omino già anziano che, ritto su una sedia e col dito indice intinto in una vernice bianca lavabile, scriveva i risultati sul grande specchio dietro il bancone.
Quello era un Chiosco degli Sportivi in piccolo. Il Nèghe era il nostro Gostinelli (per chi non lo sapesse, lo storico gestore, allora, del vero e unico Chiosco degli Sportivi di via degli Anselmi, sotto i portici di Via Pellicceria a Firenze).
Ricordo le brioches stantie del Nèghe, che avevano incorporato il puzzo di nicotina delle troppe sigarette che erano state fumate lì intorno. A volte, quando erano ormai invendibili, ce le regalava.
Ma ora basta con questi ricordi. Bisogna lasciare spazio alla Fiorentina e alle sue vicende attuali. Però non è male, ogni tanto, prenderla alla larga. A me, per esempio, piacerebbe sapere dai tifosi “di fuori” come è nata la loro passione per la Fiorentina. Un argomento che mi ha sempre interessato e del quale qualche volta abbiamo discusso. Questione eroica molto di più del sapere, ovvio e banale, di come sono diventati viola coloro che, come me, ci son nati dentro.
Poi, ovviamente, la precedenza andrà data alle diagonali di Biraghi, ai gol Kokorin e ai disturbi al soleo di Nastasic. Cioè, all’essere tifosi oggi.
di Paolotto
Invia anche tu il tuo articolo all’indirizzo mail [email protected] e avrai la possibilità di vederlo pubblicato nel Blog dei Tifosi!
Di
Redazione LaViola.it