Blog dei Tifosi
Il Blog dei Tifosi – Il circo bianconero
Jacopo dice la sua sulla questione Vlahovic-Juventus
Non penso che ci sia una parola per esprimere esattamente il sentimento che sto provando da quando ho letto della notizia della cessione di Vlahović alla Juventus (fuori un altro). Ci sarebbero molte cose da dire sul comportamento del ragazzo e del suo entourage, ma poi alla fine che cosa potrei aggiungere a quanto è già stato abbondantemente detto da tutti (tifosi, addetti ai lavori, commentatori e professionisti vari della parola)?
Ormai abbiamo imparato, a nostre spese, a conoscere molto bene il copione di quel circo mediatico itinerante con cui si cerca di volta in volta di preparare il terreno all’approdo alla Vecchia Signora di un dato giocatore, esploso di recente in qualche periferia calcistica nazionale. Tale circo stagionale ha i suoi clown e saltimbanchi, regolarmente stipendiati e tenuti in grande considerazione dalla nota consorteria torinese, giacché quest’ultima ricava da questo spettacolino itinerante un’insostituibile mezzo di propaganda. E grazie al battage mediatico con cui si agita di piazza in piazza il gonfalone bianconero, la nota consorteria anglo-olandese-torinese riesce anno dopo anno a dare una lucidata a quel suo blasone (invero alquanto logoro) e a farlo apparire scintillante come un tempo.
E l’incantesimo funziona, almeno in Italia. Nessun altro mecenate o ricco benefattore nel Belpaese potrà mai sperare di montare uno spettacolo più frizzante, appassionante e più capace di sfinire a colpi di grattugiate delle gonadi gli spettatori festanti. Come ogni circo, però, anche questo ha dei luoghi in cui pare che i suoi spettacoli vengano particolarmente apprezzati: a Sassuolo si svolge con cadenza quasi annuale uno degli appuntamenti più attesi. Ma niente di paragonabile al successo di cui gode la rassegna fiorentina. E verrebbe da aggiungere che c’è decisamente da andarne fieri. Perché nessun’altra piazza più di Firenze ha dato maggiore contributo negli anni alle “magnifiche sorti et progressive” del club della consorteria Torino-Londra-Amsterdam & associati.
Il lungagnone serbo è solo l’ultimo di una serie di grandi professionisti itineranti, scoperti e formati dall’accademia del circo fiorentino, ad aver preso la via di Torino (no, aspettate: forse era Amsterdam? L’Aja? Londra?). E allora mi chiedo, sono rimasto forse l’unico a trovare un po’ stanca la commedia dell’arte che va in scena ogni stagione a Firenze? Mi chiedo se il pubblico non si sia stancato di quel rito apotropaico con cui due volte l’anno i ragazzi in maglia viola interpretano la parte dell’antagonista dei ragazzi in bianco e nero.
Ogni tanto i ragazzi in maglia viola riescono ad avere la meglio, ma soltanto perché il Male fa parte della vita. Si sa però che alla fine il Bene trionfa sempre. E a suggello della vittoria finale, ogni anno uno dei ragazzi in viola, pentito, torna sulla retta via convertendosi al rito bianconero e nazionalpopolare. Con buona pace del proprietario della giostra viola, che riceve laute ricompense in comode rate, per non appesantire di oneri ulteriori quei benevoli evergèti: “Agnelli di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi il grano” – Ma senza esagerare, un poco alla volta, ché non abbia ad andarci di traverso. Perché tu sarai anche una Vecchia Signora, ma anche noi siamo del ’26. E si sa che la vecchiaia non è ugualmente clemente con tutti.
Scherzi a parte, in passato ho scritto un paio di articoli per questo sito, firmandomi come “Violanauta”. E questo perché, in primo luogo, da tifoso mi piaceva l’idea di portare nello pseudonimo i colori della mia squadra. E in secondo luogo perché mi piaceva rimanere impersonale: essere uno dei tanti. Perché è questo che sono: un tifoso come voi.
Da oggi, però, ho deciso di firmarmi con il mio nome, perché non ho niente da nascondere e perché dopo quest’ultima, ennesima, cessione del nostro miglior giocatore alla Juventus, proprio non riesco ad essere orgoglioso di tifare la Viola. Scusatemi, è sicuramente una mia mancanza. Ma mi sento profondamente stanco. Stanco di farmi prendere in giro.
Io sono stato uno di quelli che hanno salutato con favore l’addio dei Della Valle, a cui non perdono gli anni di mediocrità, ridimensionamento e “zeru tituli”. Ma a cui soprattutto non perdonerò mai l’aver insozzato il nome della nostra squadra nel fango di calciopoli. Oggi, so di essere stato profondamente ingenuo a pensare che con la nuova proprietà sarebbe iniziato un nuovo corso: che avremmo avuto la speranza di rivedere una Fiorentina capace di crescere, stagione dopo stagione, trattenendo i suoi uomini chiave, oppure cedendoli alle proprie condizioni, così da trarre valore dal valore (un po’ come ha fatto l’Atalanta).
Con Italiano, in questa prima metà di stagione, avevo riscoperto la sensazione che si prova a non vedere l’ora che arrivi il giorno della partita. Sensazione che da troppi anni avevo ormai dimenticato. L’entusiasmo si stava riaccendendo, vivo e forte, dentro di me, così come l’orgoglio di tifare una squadra che gioca bene; una squadra di cui poter essere orgogliosi anche nella sconfitta. Nemmeno il 4-0 di Torino mi aveva minimamente fatto vacillare in questo percorso di recupero dell’entusiasmo di seguire la mia squadra del cuore.
Adesso, ho la sensazione di aver volato troppo vicino al Sole; ma un sole che brillava di una luce fioca, effimera, ingannevole. Non mi si sono sciolte le ali di cera per il calore, come allo sfortunato Icaro. Solo ora mi accorgo che quelle ali erano di cartapesta, come le dichiarazioni d’amore dei giocatori, come le promesse (“quando mi offrono, firmo”), le mani sul petto e i nostri sogni infranti di noi poveri cristi, che non abbiamo (o almeno non dovremmo) avere l’ardire di affogare le nostre delusioni nel calcio.
Ma almeno vorremmo poter dimenticare le nostre piccole amarezze quotidiane, almeno per quei 90 minuti più recupero. E invece questa giostra milionaria che è il calcio sembra arrivata al punto di non ritorno in cui i soldi hanno consumato infine anche quel potere catartico del pallone. Non ci è più nemmeno concesso di credere che alla fine la palla è rotonda e che sono le vittorie a fare il blasone, e non il blasone le vittorie. Pensavo, nella mia ingenuità, che con le idee e le intuizioni giuste fosse ancora possibile ottimizzare le risorse economiche a disposizione, al punto da poter essere competitivi per scudetto, campionato e magari una coppa europea.
Certo, non tutti gli anni. Perché quelli sempre più o meno competitivi per le posizioni che contano sono, erano e saranno sempre i top club europei: quelli che hanno sede nei principali centri di potere del Vecchio Continente. Ma magari, nell’annata giusta, avremmo potuto vedere di nuovo una Fiorentina vincente e in grado di stupire, se non il mondo, almeno questo nostro matto e disperatissimo Paese.
Oggi, ripenso a quegli sguardi del mister nelle interviste post partita, alla solita puntale domanda sul futuro di Vlahović rivoltagli, con sorrisi beffardi di iene, dai soliti cortigiani dei salotti sportivi. Rivedo quegli occhi neri velarsi di malinconia, la bocca contrarsi in una smorfia rassegnata. Quante volte ho visto quel volto. L’ho visto in Prandelli, l’ho visto in Montella e in Sousa.
È come guardarsi allo specchio: è il volto di chi ha creduto nella Fiorentina, ma a cui alla fine hanno “ucciso Dio”; traditi dal sistema, traditi dalle proprietà. È il volto di quelli a cui hanno svelato l’inganno: “Voi siete la Fiorentina: potete partecipare, ma non potete competere”. È questa la litania che risuona dietro tutti quei discorsi, dietro a quei cachinni a settantaquattro denti degli “addetti ai lavori”, dei professoroni del calcio, degli allenatori di Sistema, dei presentatori, del compagnuccio della parrocchietta che tifa una strisciata (ma una in particolare) “perché vince”. I più inseguono il solito vizio italico, ma invero globale, di simpatizzare per chi vince.
Per me tifare Fiorentina ha sempre voluto dire perseguire l’irrinunciabile obbligo morale di distinguermi da quella rumenta di conformisti. Credo che sarà a questo pensiero che rimarrò fedele, nonostante tutto. Nonostante l’ennesima cocente delusione e umiliazione inflitta dal sistema. Ma quel senso di disillusione, ormai, pare destinato a durare. Mi chiedo quanto ci vorrà perché questo bravissimo, e forse geniale, allenatore si stanchi anche lui (se non è già successo) e stacchi la spina. Mi chiedo se non gli sia già morto nel petto l’entusiasmo, come è successo a me e immagino anche a molti di voi.
Chissà, magari un giorno riusciranno a farmi ricredere, ma oggi mi è un po’ più difficile credere che “torneremo grandi ancor”.
di Jacopo Francesco Pecorini