Bilanci contro sentimenti, modello aziendale contro passione; gestione e contabilità contro l’aspetto più vero che rappresenta il calcio. Mai come adesso dopo la sfuriata di Diego Della Valle, la dicotomia, l’antitesi principale del mondo Fiorentina, inteso nel rapporto tra proprietà e tifosi, è uno scontro tra due mondi, diversi, difficili da tenere uniti.
Il mondo dei numeri, quello che riguarda la sfera gestionale. E il mondo delle sensazioni, della pancia, quello che riguarda la sfera del pubblico.
I Della Valle, e partiamo con il primo ambito, hanno sicuramente fatto della Fiorentina un modello. La stabilità finanziaria parla da sé, la gestione economica (al di là dei miracoli di Andrea) e i piazzamenti pure: otto volte in Europa (e quindi almeno tra le prime 6 del campionato) in 13 anni di Serie A sono uno score invidiabile. Uno score a cui manca però un acuto, un trofeo, un successo, una macchia considerata da molti un fardello, un peso negativo nel giudizio di un operato.
Tuttavia, ridurre alla semplice richiesta di un Trofeo la polemica attuale, può apparire poco adatto a interpretare la realtà di Firenze. Perché quello che adesso e da un po’ chiedono i tifosi, lasciando stare le conte e la scelta di schierarsi da una parte all’altra del guado, è proprio la capacità di ritrovare gioia, di avere ambizione, obiettivi, di rilanciare.
Oltre le plusvalenze, oltre i contratti, oltre gli ammortamenti c’è la voglia di riprovare certe sensazioni che il mondo del calcio ti sa regalare. Quelle sensazioni che ti facevano fremere quando eri primo in classifica lo scorso anno, nelle notti europee con Montella. Quelle sensazioni anestetizzate dal termine clienti, da scelte che prima guardano al portafoglio e poi alla gratificazione.
Non si tratta di essere solo pro o contro i Della Valle, si tratta di parlare della Fiorentina e di stringersi intorno alla maglia viola, non di dividersi in base alle simpatie dei proprietari. Si tratta di parlare di calcio, di discutere su un acquisto per il suo valore tecnico e non sulla clausola che possiede, su quanto starà alla Fiorentina, sulle commissioni che spettano all’agente. Si tratta di giudicare un allenatore per il modulo che propone, non in base al profilo aziendalista. Si tratta di arrivare alla domenica con la voglia di stupire, non con la rassegnazione di chi guarda la classifica sulla base dei fatturati. Forse è utopia, forse è una realtà distorta, ma è quello che il calcio ci ha insegnato.
Perché per riconquistare, o conquistare Firenze e un popolo estremamente raffinato, non serve nessun Aventino, nessuna permalosità. Serve la chiarezza e il dialogo, i fatti. Serve creare un’empatia e una squadra che lotta, suda per la maglia e diverte. Ammesso che le due strade vogliano ancora proseguire insieme. Quella dei bilanci e quella dei sentimenti.
Di
Duccio Mazzoni