Il bomber argentino torna sui problemi fisici, adesso è in attesa di capire se la protesi allevierà il dolore. “Quel gol a Wembley…”.
Gabriel Omar Batistuta ha parlato a ‘Sette’, inserto del Corriere della Sera. Ecco alcune sue parole: “Le mie caviglie sono fragili per costituzione. Non ho mai potuto giocare al cento per cento. Sono stato torturato dalle distorsioni. Andavo avanti a furia di infiltrazioni e antidolorifici. L’impegno con la società, con il pubblico, con me stesso era troppo importante. Scendevo in campo in condizioni impossibili. Ero il Re Leone, Batigol il guerriero e stringevo i denti”.
RICHIESTA DI AMPUTARE LE GAMBE. “Appena smesso, mi sono ritrovato con le caviglie a pezzi. Non avevo più cartilagine. Osso contro osso, su un peso di 86-87 chili: il minimo movimento diventava un tormento. Lo stesso problema di Van Basten, che ha detto basta a 28 anni. Certi giorni non riuscivo a scendere dal letto. Piangevo di rabbia e mi dicevo: non può finire così. La mia famiglia mi reclamava: ora puoi stare con noi. E invece soffrivo, stavo male. Così male che sono andato da un amico medico e gli ho chiesto di amputarmi le gambe. L’ho pregato, ho insistito. Gli ho detto che quella non era più vita”.
PROTESI. Un mese fa a Basilea gli è stata applicata una protesi alla caviglia sinistra. “Una soluzione che rincorrevo da almeno 6-7 anni. Tra 40 giorni, tolto il tutore, sapremo se il dolore è scomparso e potrà finalmente camminare come una persona normale”.
CARRIERA. “Senza questo dannato problema chissà che traguardi avrei potuto raggiungere. Il Pallone d’Oro no. È legato alle vittorie della tua squadra. Ma in qualche momento me lo sarei meritato. Non ero un talento. Solo potenza, all’inizio. Sono migliorato con il tempo. A fare sul serio del resto ho cominciato tardi”.
FIORENTINA. Sul trasferimento a Firenze: “Era la mia occasione, lo sentivo. Ma mi trovai a disagio. La città mi sembrava piccola e tutto era antico. Solo più tardi mi resi conto della meraviglia che avevo intorno. Solo più tardi compresi che i fiorentini, così ironici, esigenti e un po’ incazzati, mi somigliano. Sbagliai le prime partite e dissero che ero un bidone. Feci 13 gol, ma non tirava aria buona. L’anno dopo retrocedemmo. Accettai di restare. Risalimmo e, finalmente, scattò l’amore. Cecchi gori era il presidente. Mi facevo pagare bene, in cambio garantivo 30 gol a stagione, quando le difese erano più chiuse e le marcature asfissianti. Rifiutai offerte straordinarie, Real compreso. Ma a me non piaceva vincere facile. Ribaltare il tavolo e battere i favoriti, quella sì era vita”.
STORICO. Poi ricorda il gol a Wembley: “Percussione di Heinrich, che non sa a chi passare. Il difensore che mi marcava era distratto. Mi spostai, tirai e tutto in un attimo era già finito. Quel gol nella mia testa l’avevo già segnato prima ancora di colpire la palla. Firenze per una notte fu la capitale d’Europa”.
Di
Redazione LaViola.it