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Rassegna Stampa

Avvocato Ferrari: “Chi non accetta il taglio degli stipendi ha diritto di svincolarsi”

Parla l’avvocato specialista in diritto sportivo: “Lo stato non può obbligare i dipendenti ad accettare un taglio del 30%”.

«Bene fanno i calciatori ad accettare riduzioni dello stipendio, perché in questo modo contribuiscono a salvaguardare l’equilibrio economico e in certi casi la sopravvivenza stessa del club. Quando la sostenibilità economica di un settore è messa alla prova, tutti devono fare la loro parte. E bisogna dire che la Juventus anche in questo caso ha mostrato la sua leadership. Ma deve trattarsi di un accordo, di un atto volontario. Altrimenti non va bene». Luca Ferrari, avvocato specialista in diritto sportivo, parla così al Corriere dello Sport.

ATTO VOLONTARIO. «Si è molto parlato di questo taglio come una scelta non solo “obbligata” moralmente o razionalmente, ma anche inevitabile, per un supposto ed invocato intervento impositivo del Governo. A mio avviso, questa “minaccia” non regge. Mi spiego: lo Stato interviene, come è sempre successo, per tutelare i lavoratori e le aziende, concedendo e sovvenzionando strumenti che garantiscono l’occupazione in momenti di crisi. Ma non vedo come lo Stato possa obbligare i dipendenti ad accettare il taglio dello stipendio, soprattutto quando si tratti di lavoro iper-qualificato, fortemente richiesto sul mercato e regolato da contratti a tempo determinato, i cui contenuti economici sono negoziati individualmente». 

ESTERO. «In Francia, il governo può mettere a disposizione di qualsiasi impresa – incluse quelle calcistiche – un ammortizzatore sociale e l’impresa lo utilizza, se vuole. Ma il dipendente che si vede decurtare il corrispettivo del 30%, si tratti di un super-manager o di un difensore centrale, con un mercato disposto a pagare il 100% dell’ingaggio, non può rimanere ingabbiato; inchiodato per legge alla banca o alla società calcistica che – legittimamente – gli vuole tagliare lo stipendio. Sarebbe un effetto perverso, gravemente penalizzante per quello stesso lavoratore che la misura legislativa serve a tutelare».

SI PUO’ ABBANDONARE IL CLUB. «Se da un lato c’è il diritto del datore di lavoro di applicare la misura disposta dallo Stato, dall’altro il dipendente che ha alternative (che è richiesto) deve poter esercitare il diritto costituzionale di libera iniziativa economica, svincolandosi e affidandosi al mercato. Pertanto, non vedo come si possa impedire per legge al calciatore di recedere per giusta causa dal contratto e trasferirsi ad altro club, in Italia o all’estero, una volta che il proprio club lo abbia informato di averlo messo in “cassa integrazione” al 70% dello stipendio. Insomma, ben vengano gli accordi per ridurre e posticipare gli stipendi; è la soluzione più giusta, intelligente ed efficace. Ma senza ultimatum». 

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